iTypewriter

La nostalgia colpisce ancora. Austin Young ha costruito iTypewriter, una macchina da scrivere vecchio stile che si interfaccia con l’iPad. In tal modo l’utente può sperimentare il feeling antico della pressione su dei tasti meccanici, pur utilizzando la tecnologia più recente.

Personalmente, queste cose mi lasciano abbastanza freddo, ma in questo caso, quello che mi diverte è “l’interfaccia” fra la macchina da scrivere e l’iPad. Non si tratta di qualcosa di elettrico, ma è una soluzione puramente meccanica, visibile nel video qui sotto.

Per quanto mi riguarda, ho fatto in tempo a rompermi le dita per anni su una Olivetti Lettera 32 (ci ho fatto tutta l’università, tesi compresa) e vista anche la mia passione per l’audio, mi basta la rievocazione sonora che ho trovato in FocusWriter, un simil wordpad, nel senso che non è un WP completo come Open Office, ma, volendo, emette i rumori dei tasti e del ritorno carrello tipici della vecchia macchina da scrivere.

Lo stesso Austin Young ha messo a punto anche un altro progetto, iTurntable, che permette di controllare un player digitale come l’iPhone con un piatto girevole con tanto di braccetto per suggerire il feeling antico dei vecchi 33 giri.

Steve Jobs by Walter Isaacson

Steve_Jobs_by_Walter_IsaacsonSe a qualcuno piacciono la tecnologia e le biografie, quella di Steve Jobs scritta da Walter Isaacson è un’ottima lettura. L’ho trovata in un supermarket e mi sono deciso a comprarla perché, leggendo le note di copertina, mi è sembrata abbastanza obiettiva, cioè anche critica e non solo osannante (non è che non ami Jobs; quello che non mi piace è l’atteggiamento di adorazione acritica che molti manifestano nei suoi confronti).

Walter Isaacson è un ex caporedattore di Time, CEO di CNN, oggi direttore dell’Aspen Institute. Ha scritto biografie di Kissinger, Benjamin Franklin ed Einstein. È una persona con le spalle abbastanza larghe da non farsi condizionare da chicchessia e va a merito di Jobs l’averlo invitato a scrivere la sua biografia autorizzata senza interferire nella stesura.

Il libro si legge facilmente ed è privo di strafalcioni tecnologici significativi.

Isaacson tratteggia senza sconti la personalità complessa di Jobs: un genio per quanto riguarda la definizione degli aspetti estetico/funzionali dei prodotti Apple e sufficientemente carismatico da spingere i suoi collaboratori a realizzare cose fino a quel momento ritenute impossibili, ma anche un egocentrico che divideva il mondo soltanto in due categorie, fantastico e merda, spesso brutale con chi gli stava intorno, capace anche di appropriarsi delle idee altrui e riproporle come proprie.

La sua ricerca estrema e quasi furiosa della semplicità sia nel design che nella funzionalità dell’oggetto, lo avvicina al Bauhaus, con la differenza che, per Jobs, il detto “form follows function” si rovescia nel suo esatto opposto. Spesso, infatti, alcune caratteristiche funzionali dei sistemi Apple sono state determinate dall’estetica scelta da Jobs per qualche dispositivo. In tal modo si rovescia il normale processo di progettazione. Di solito, infatti, prima vengono gli ingegneri che decidono quali componenti devono far parte della macchina e poi arrivano i designer che hanno il compito di rinchiuderli in un involucro accattivante (e spesso, nel caso del computer, si limitano a un involucro qualsiasi).

L’approccio di Jobs, invece, ha posto ai progettisti delle sfide che li hanno costretti a innovare. In genere, non si ha la percezione di quanto sia difficile cambiare la forma di un computer. Per esempio, il solo fatto di volere gli spigoli molto arrotondati provoca un bel problema di progettazione perché i produttori di schede e chip lavorano solo con elementi rettangolari. In teoria un chip rotondo si potrebbe fare, a patto, però, di cambiare l’intera catena di produzione, dal software che sistema i collegamenti fino ai robot che saldano i chip sulla piastra. In pratica è impossibile.

Di conseguenza, l’arrotondamento degli involucri con il taglio degli angoli produce spazio sprecato, a meno di inventare una disposizione diversa degli elementi all’interno dell’involucro, cosa che risulta più semplice se si usano elementi più piccoli, che, però, hanno un costo maggiore, il che spiega, in parte, il prezzo eccessivo rispetto alle prestazioni delle macchine Apple.

Gli effetti di questo modo di procedere sono risultati a volte decisamente innovativi, ma, in altre occasioni, si sono rivelati tali da compromettere alcune funzionalità.

Un esempio del primo tipo è lo sfondo bianco dell’interfaccia del Macintosh, conseguenza del fatto che Jobs voleva che fosse WYSIWYG: what you see is what you get (quello che vedi è quello che ottieni), quindi, se il documento in stampa sarebbe risultato nero su bianco, anche sullo schermo doveva essere così. Questa idea aveva fatto imbestialire non poco i tecnici perché il tradizionale sfondo nero (a fosfori spenti) era più semplice da progettare ed evitava che il tremolio dei fosfori fosse visibile. Lo sfondo bianco, invece, costringeva a ricorrere a monitor di qualità superiore, più costosi. Oggi tutti siamo abituati a questa situazione ed anche i display hanno fatto un salto di qualità non da poco.

Un esempio del secondo caso è il maledetto lettore CD dell’iMac. Jobs si arrabbiò moltissimo quando vide che il progettista aveva inserito nella macchina un lettore a cassettino invece che uno a fessura come era suo desiderio e gli impose di cambiarlo. Il punto è che a quell’epoca, i CD player non erano ancora in grado di masterizzare, ma solo di leggere. Il progettista, però, sapeva che a breve sarebbero stati disponibili anche i primi masterizzatori e che, per alcuni anni, sarebbero stati prodotti solo in versione a cassettino e avvisò Jobs che non volle scostarsi dalla sua idea. Per questa ragione gli acquirenti dell’iMac non hanno potuto beneficiare di un salto tecnologico e per vari anni sono stati costretti ad acquistare un masterizzatore a parte, mentre tutte le altre macchine nascevano dotate di masterizzatore di serie.

Un altro esempio molto più recente è l’antenna-gate dell’iPhone 4. Sebbene la volontà ferrea di Jobs fosse in grado di spingere i tecnici a fare miracoli, non c’è alcuna possibilità di contrastare il fatto che il metallo non è un materiale ideale da piazzare vicino ad una antenna: a dispetto dei desideri di Jobs e del suo designer di fiducia, le onde elettromagnetiche si ostinano a fluire sul metallo piuttosto che attraverso di esso con la conseguenza che un involucro metallico attorno a un telefono scherma sia la ricezione che la trasmissione (è la cosiddetta gabbia di Faraday). In origine, l’iPhone avrebbe dovuto avere una corona di plastica per permettere al segnale di fluire, ma la visione estetica di Jobs richiedeva una corona metallica. I tecnici fecero l’impossibile per utilizzare il metallo come estensione dell’antenna creando una discontinuità nella corona di acciaio che circondava l’apparecchio, ma come risultò chiaro da subito, se un dito sudato interrompeva tale fessura, la linea crollava.

È giusto rilevare, però, che i successi del metodo Jobs sono stati di gran lunga maggiori rispetto agli insuccessi e che la sua capacità innovativa ha realmente cambiato il modo in cui la massa percepisce la tecnologia. Dico “la massa” perché le creazioni Apple sono rivolte principalmente a coloro che utilizzano i sistemi digitali per l’ordinaria amministrazione, non a coloro che fanno un uso spinto della tecnologia. Prova ne è il fatto che le macchine high-end disegnate da Jobs sia in Apple che fuori, non hanno mai avuto grande successo. Non l’ha avuto il Lisa, non l’ha avuto il NeXT e non l’ha avuto il Power Mac G4 Cube che, nonostante sia finito esposto al Museum of Modern Art di New York, non ha impressionato i professionisti, poco disposti a spendere il doppio del normale per avere una scultura sulla loro scrivania. La presenza massiccia di Apple in alcuni centri di ricerca, come, nel mio campo, l’IRCAM, dipende più che altro da oculate politiche di vendita e sponsorizzazione che altro (leggi: sconti e regali).

Ma il problema maggiore di Apple, quello che ne ha frenato la diffusione fra gli addetti ai lavori, in realtà non è il prezzo, ma l’estrema chiusura dei loro sistemi. Nonostante la pubblicità tenti sempre di accreditare un’immagine creativa, i sistemi di Jobs sono sempre stati più diretti alla fruizione di contenuti che alla loro creazione e per volontà espressa dell’azienda, non esiste una pluralità di fornitori, il che significa che, sia che si abbia bisogno di un particolare componente hardware, di una certa applicazione o solo di una riparazione, bisogna sempre rivolgersi a una e una sola azienda e accettare le sue condizioni. A partire dal primo Mac, questa è stata la politica aziendale propugnata da Jobs. Quando in Apple si sono accorti che erano nati dei servizi di riparazione dell’iPhone gestiti da terze parti, l’azienda ha persino modificato le viti per impedire che qualcun altro fosse in grado di aprirlo.

Entrare in Apple, in pratica, significa consegnare la propria attività e i propri dati a una singola azienda senza potersi rivolgere a qualcun altro nel caso di disaccordi con la politica aziendale. È un po’ come acquistare una bellissima automobile di marca ZZZ (che proprio per questo costa il doppio di un auto normale) e scoprire, però, che gli unici che possono ripararla sono i centri ZZZ (che la tengono via 20 giorni e ti fanno pagare un occhio), che puoi fare benzina solo nei distributori approvati da ZZZ e che rende il massimo solo sulle strade consigliate da ZZZ.

Detto così, sembra solo un fatto economico, ma non lo è. È una di quelle cose che riguarda la libertà di tutti, anche se pochi ne sono toccati direttamente. Il fatto è che, sul mio computer, voglio mettere il sistema che voglio, farci girare i programmi che voglio e anche scriverne qualcuno, visto che so come fare, e magari venderlo o regalarlo e questo, in Apple, non è semplicemente possibile.

 

Stay Hungry, Stay Foolish

Sono rimasto un po’ colpito dalle reazioni al luttuoso evento, sia quelle dei media che della gente comune. Ho sentito una grande quantità di inesattezze, come è tipico dei media. In certe trasmissioni sembrava che Jobs avesse inventato l’interfaccia a mouse, finestre e icone, che invece era stata adottata grazie ad un accordo con Xerox che l’aveva realizzata per prima. In altre, sembrava quasi che fosse l’inventore di internet.

Alcuni articoli, come quello di Wired Italia, dipingono Jobs come un immenso genio dell’informatica. La BBC ha voluto scendere ancora più in profondità sottoponendo il cervello di Alex Brooks, un fan infatuato di Apple, a vari test neurologici nel corso del documentario Secrets of the Superbrands per verificare le sue reazioni di fronte ad alcuni dispositivi della casa di Cupertino. La sorpresa, almeno per i neuroscienziati, è stata quella di rintracciare reazioni neurali analoghe a quelle dell’esperienza mistica o risposte simili a quelle che i fedeli di una religione provano nel vedere oggetti sacri (“Simply viewing Apple kit provokes religious euphoria” in The Register).

Ora, Jobs non era un genio dell’informatica. All’inizio di tutto, quando con Steve Wozniak e Ronald Wayne si apprestava a fondare la Apple, veniva anche preso un po’ in giro per non essere un hacker. Il genio tecnico era Wozniak. Fu lui a progettare l’Apple I e a distribuirne liberamente il progetto nel più puro spirito hacker.

Jobs, semmai, era un genio del marketing. Lo aveva dimostrato da subito, quando Woz, in base al progetto di John Draper (aka Captain Crunch), aveva costruito una blue box, una macchinetta che permetteva di fare chiamate telefoniche gratuite dalle cabine, inviando alla centrale il segnale che informava che l’utente aveva inserito una moneta, Jobs era riuscito venderne un bel po’ ai propri compagni di scuola e ai loro amici. È sintomatico il fatto che, grazie alla blue box, Jobs aveva rivelato le proprie qualità, mentre Draper era finito in galera.

Il genio di Jobs consisteva nell’ideare delle modalità semplici e intuitive per rapportarsi con la tecnologia, un’interfaccia utente che fosse comprensibile anche per la gente comune. E riusciva a farlo proprio per il fatto di non essere un hacker. Un hacker non ha bisogno di queste facilities, non ci pensa nemmeno. Invece Jobs ci pensava e aveva il coraggio di chiederle e scommettere sul fatto che avrebbero avuto successo nonostante i costi che comportavano. Apple, infatti, ha sempre realizzato prodotti di nicchia, estremamente costosi rispetto alla concorrenza, ma anche estremamente belli e facili anche a costo di limitarne le funzionalità.

L’unico tasto del mouse Apple, per esempio, è una demenza. Quando lavoro con il Mac del Conservatorio, lo stacco e collego un mouse normale, a due tasti perché con il secondo esce il menu contestuale anche sul Mac, lo stesso che, con il mouse originale, esce facendo Ctrl-click, con due mani.
Ricordo, per esempio, una pubblicità del Mac che diceva “Apple ha insegnato l’uomo a Macintosh: l’uomo ha 10 dita, ma ne usa uno solo…”.
La cosa interessante è che questo mouse, che mi limita, costa € 50, con il filo o € 65 nella versione wireless.

Ecco, un’altra qualità di Jobs era quella di convincere la gente di aver bisogno di cose di cui non ha veramente bisogno e di imporre queste caratteristiche come delle pietre miliari che poi tutti vanno a copiare. Marketing. Certo, alcune di queste lo sono davvero. I prodotti Apple sono innegabilmente più belli (esteticamente) e facili rispetto alla concorrenza.

Ma la Apple è anche una corporation ed è una delle corporation più chiuse e simili ad una chiesa che esistano. Non si possono fabbricare cloni del Mac. Nonostante il reverse engineering sia comunemente accettato nel mondo dell’informatica, Apple ha sempre messo in atto sistemi atti a impedire l’imitazione dei propri prodotti, anche a scapito della comodità degli utenti (il sistema operativo su ROM dei primi Mac ne è un esempio).

Con i prodotti più recenti, la chiusura di Apple si è estesa anche al software. Per creare delle App per iPhone e iPad, per esempio, bisogna identificarsi e la Apple ha il diritto di bloccarne la distribuzione sui propri store e impedire che girino sui sistemi suddetti. E le applicazioni bloccate non sono solo quelle che hanno caratteristiche illegali o offensive. Ce ne siamo già occupati. Vedi qui, qui o qui.

C’è anche un lato più inquietante e scomodo della Apple, cioè il fatto di essere uno dei principali clienti della famigerata Foxconn, l’azienda taiwanese nota per l’alto tasso di suicidi fra i propri operai, dovuti, a quanto sembra, alle allucinanti condizioni di lavoro. Alla Foxconn si fabbricano iPod, iPhone, iPad, ma anche prodotti di altre aziende, come PlayStation2 e PlayStation 3, Wii, Xbox 360, Amazon Kindle, Televisori LCD Sony Bravia. Colpisce, comunque, il contrasto fra l’immagine libertaria tipica del marketing di Apple e queste modalità produttive.

Rileggendo tutto, mi sembra di aver elencato solo i lati negativi. In effetti, come ho già accennato, in questi giorni ho sentito un po’ troppe esagerazioni. Comunque, mi piace ricordare le sue ultime parole rivolte ai laureandi di Stanford: stay hungry, stay foolish.
Puntualizzo solo che non sono sue. Come lui stesso racconta:

Quando ero un ragazzo c’era una incredibile rivista che si chiamava The Whole Earth Catalog, praticamente una delle bibbie della mia generazione. (…) Nell’ultima pagina del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna di prima mattina, il tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l’autostop se siete dei tipi abbastanza avventurosi. Sotto la foto c’erano le parole: «Stay Hungry. Stay Foolish». Siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio.

Come al solito ci spiano

In questi giorni sta facendo un certo rumore la scoperta che la nuova generazione di cellulari ci spia sistematicamente. Non mi riferisco al fatto, ormai noto a tutti, che i nostri spostamenti e contatti vengono tracciati dalle compagnie telefoniche grazie alle celle che il nostro cellulare aggancia, ma al fatto che i nostri movimenti vengono salvati in un file conservato all’interno del telefono e a volte anche sul computer a cui il telefono viene connesso.

Tutto ciò appare grave perché, se alle registrazioni conservate dalle aziende si può accedere solo dietro richiesta di un magistrato, questo file può essere consultato da chiunque sappia come arrivarci. E non è difficile, soprattutto per Apple.

La cosa vale sia per l’iOS di Apple che per Android. con qualche piccola distinzione che vado a riferirvi:

mappa realizzata a partire dai dati conservati su iPhoneiOS Apple (iPhone e iPad 3G)

Cory Doctorow riporta qui la scoperta di alcuni ricercatori che si occupano di sicurezza presentata alla conferenza Where 2.0. È stato scoperto un file nascosto (invisibile all’utente) che contiene tutti gli spostamenti del telefono desunti dalle celle, dagli access point wi-fi e dal GPS, ognuno accompagnato dal relativo time-stamp (data e ora). Il file viene anche scaricato sul computer a cui il telefono si connette.

A quanto pare, la registrazione di tali dati è iniziata con l’upgrade a iOS 4 datata Maggio 2010. Di conseguenza,  in alcuni telefoni, si può trovare quasi un anno di spostamenti completi di coordinate, data e ora. Il file non è criptato e la lettura è possibile anche a non geek utilizzando l’apposita applicazione, iPhone Tracker, che si scarica qui.

Finora Apple non ha spiegato perché questi dati vengono raccolti, né fornito un modo per bloccarli. L’utente viene tracciato, che lo voglia o no. In pratica, Apple ha reso possibile ottenere informazioni dettagliate sui vostri spostamenti a chiunque abbia accesso al vostro iPhone (un partner geloso, un detective privato, i genitori, etc.).

La cosa divertente è che Apple ha il diritto di raccogliere tali dati. Fra le 15200 parole che formano i terms and conditions for its iTunes program, un paragrafo di 86 parole dice

Apple and our partners and licensees may collect, use, and share precise location data, including the real-time geographic location of your Apple computer or device. This location data is collected anonymously in a form that does not personally identify you and is used by Apple and our partners and licensees to provide and improve location-based products and services. For example, we may share geographic location with application providers when you opt in to their location services.

La notizia è finita anche sul Guardian con dovizia di particolari.

Android

Gli utenti Android sono relativamente più fortunati. Quello di Android, infatti, non è un file, ma una cache. Ne consegue che è più difficile accedervi (serve un informatico dotato di una certa perizia, vedere qui), ma soprattutto vengono conservate solo le ultime 50 celle e gli ultimi 200 wi-fi access point. La profondità dei dati, quindi, è più limitata rispetto a iOS.

In entrambi i casi, non si sa se i dati vengano inviati rispettivamente a Apple e a Google. Vari rappresentanti di entrambe le aziende si stanno affrettando a negare qualsiasi utilizzo fraudolento.

Gelie

An interesting application for iPhone that links sound and gestures. The sound needs some improvements but the idea is stimulating.

Hitler about iPad

Hitler’s opinion about iPad.

Generative Music App

bloom, trope, airBloom, Trope and Air are three applications developed by Brian Eno and the musician / software designer Peter Chilvers that brings to the cells the concept of generative music popularized by Eno.

Part instrument, part composition and part artwork, Bloom’s innovative controls allow anyone to create elaborate patterns and unique melodies by simply tapping the screen. A generative music player takes over when Bloom is left idle, creating an infinite selection of compositions and their accompanying visualisations.

Darker in tone, Trope immerses users in endlessly evolving soundscapes created by tracing abstract shapes onto the screen, varying the tone with each movement.

Air is described as “An endless Music for Airports”. It assembles vocal and piano samples into a beautiful, still and ever changing composition, which is always familiar, but never the same.
Air features four ‘Conduct’ modes, which let the user control the composition by tapping different areas on the display, and three ‘Listen’ modes, which provide a choice of arrangement. For those fortunate enough to have access to multiple iPhones and speakers, an option has been provided to spread the composition over several players.

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Virus da tastiera

apple keyboardDopo una notizia interessante sul mondo Apple, ne arriva una un po’ inquietante, ma comunque divertente.

Le tastiere USB o Bluetooth di Apple sono infettabili da virus. Le tastiere, non il computer. Think different!

Il fatto è che le suddette tastiere contengono un firmware, cioè un piccolo software che risiede in una memoria flash di circa 8k (una memoria che non si cancella allo spegnimento, ma che può essere sovrascritta). Rimpiazzando questo software, si può alterare il comportamento della tastiera, permettendogli, per esempio, di registrare ciò che scrivete o anche di inviare autonomamente dei comandi alla macchina.

Il punto interessante è che la sostituzione del suddetto software può essere effettuata da remoto, come la stessa Apple fa. Quindi basta indurre l’utente a scaricare quello che lui crede essere un aggiornamento e il gioco è fatto.

Ovviamente, rispetto a tutti i virus che girano nel mondo windoze, si tratta di una banalità, ma ha almeno un aspetto inquietante: questo non è un virus normale. Potete anche rasare a zero l’hard disk, riformattare tutto e reinstallare il sistema da zero, ma lui resta sempre lì, perché vive nella tastiera, non nell’hard disk.

Dato che non ho un Mac, devo queste info al Disinformatico.

Foto da iPhone

iPhone 3GS imageKoichi Mitsui è un fotografo professionista giapponese. Quando non è al lavoro per qualche rivista, gira per Tokyo facendo foto con il suo iPhone 3GS.

The iPhone has a single-focus lens with no zoom, and this simplicity keeps me devoted to only composition and the perfect photo opp

Sebbene queste immagini non abbiano la perfezione e la risoluzione a cui ci hanno abituato le attuali fotocamere digitali, a mio modesto avviso alcune sono molto belle.

Questo il link.

Tanto per ribadire…

iphone jail…la mia sfiducia sull’apertura dell’iPhone e più precisamente sulla libertà di sviluppare software per il nuovo giocattolo Apple, è di questi giorni la notizia che Apple ha ritirato ogni applicazione legata a Google Voice, il servizio voip di Google, dall’AppStore, ovvero l’unica fonte tecnicamente abilitata ad installare programmi sul telefonino, in altre parole l’unico modo legale che gli utenti hanno per aggiungere applicazioni sull’iPhone.

Google Voice è un servizio per molti aspetti dirompente: offre all’utente (per ora solo negli Usa) un numero universale, attraverso cui fare e ricevere gratis tutte le proprie telefonate. Google ha lanciato il servizio di recente anche su cellulari Android e Blackberry. Ha provato a sbarcare anche sull’iPhone, mettendo Google Voice tra le applicazioni dell’App Store. Apriti cielo: Apple ha rimosso l’applicazione, dando anche un motivo ufficiale: si sovrappone alle funzioni base dell’iPhone per chiamate e sms. In altre parole, dà fastidio perché pesta troppo i piedi agli operatori alleati di Apple.

Per motivi analoghi, le applicazioni di telefonia internet presenti su App Store (come Skype) consentono di chiamare solo via WiFi e non tramite rete dell’operatore. Apple ha bandito in passato applicazioni simili come VoiceCentral e GVDialer, ma adesso la mossa fa rumore perché si apre uno scontro diretto con Google. Che protesta: attraverso un portavoce ha detto di non approvare la scelta di Apple. E che comunque non si arrende. Proverà a offrire applicazioni Google agli utenti iPhone utilizzando il browser come piattaforma. Il browser come cavallo di Troia per aggirare i limiti dell’App Store, quindi. L’idea è che, in futuro, l’utente potrà accedere via cellulare a un sito web che offrirà direttamente il servizio Google Voice. Senza il bisogno di scaricarla e installarla (un po’ come avviene, su pc, con Google Docs). Google ha già fatto così per offrire il servizio Latitude agli utenti iPhone.

La mossa di Apple ha scatenato un po’ di malumori non solo negli uffici di Mountain View ma anche in quelli della Federal Communication Commission (FCC) che ha ufficialmente aperto un’inchiesta. Scopo dell’inchiesta e capire i motivi per cui Google Voice Mobile per iPhone è stata respinta da App Store, e perchè molte altre applicazioni Voice Over IP sono state eliminate o non vengono approvate per l’inserimento nel negozio virtuale.

La FCC deve vigilare sul mercato della telefonia per favorire la libera concorrenza e dato che alcune delle applicazioni respinte o non più presenti permettono di telefonare o di mandare SMS gratuitamente e quindi sono sicuramente più concorrenziali rispetto alle tariffe AT&T, la commissione federale vuole anche far luce su eventuali accordi esistenti tra Apple e il colosso telefonico americano che potrebbero essere alla base di questi rifiuti.

Apple adesso ha 3 settimane di tempo per fornire alla FCC le risposte, in cui dovrà spiegare se le applicazioni rifiutate violano veramente l’accordo di sviluppo delle applicazioni per iPhone o se violano gli “accordi economici” che Apple ha con AT&T.