Burj Dubai

Burj DubaiCliccate l’immagine a destra. Mi gira sempre un po’ la testa quando la vedo…

Burj Dubai (in arabo برج دبي “torre di Dubai”) è un grattacielo attualmente in fase di costruzione a Dubai, Emirati Arabi Uniti (EAU). Al suo completamento sarà la più alta struttura umana mai creata di ogni tipologia con un significativo margine di supremazia.

Il 5 febbraio 2008 il Burj Dubai ha raggiunto quota 608,9 metri sorpassando di fatto l’edificio finora più alto al mondo, il Taipei 101. Alla fine di novembre l’edificio aveva raggiunto l’altezza di 739.3 metri. Il costruttore del Burj Dubai è l’Emaar Properties.

Il Burj Dubai è il centro di un vasto complesso che si svilupperà nel centro di Dubai, costituito, tra gli altri, dal più alto hotel del mondo, il Burj al-Arab, la più grande marina artificiale del mondo, la Dubai Marina, le più grandi isole artificiali, le Palm Islands e le World Islands, il Dubai Waterfront e il più grande centro commerciale al mondo, il Dubai Mall. L’intera zona dovrebbe diventare così (le isole sono artificiali, cliccatela):

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Gli architetti dicono che il Burj Dubai riporterà nel Medio Oriente l’onore di ospitare la più alta struttura del mondo, titolo perso circa nel 1300, quando la cattedrale di Lincoln (Inghilterra) superò la grande piramide di Giza in Egitto. L’altezza finale del Burj Dubai è mantenuta segreta per motivi di competizione; ciò nonostante, planimetrie rilasciate da partners commerciali sembrerebbero confermare un’altezza di 818 m.

Guardate anche queste altre immagini impressionanti (sempre cliccabili)

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Barcode building

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Trovata su English Russia. I finestroni verticali sono veramente il barcode indicato sopra. Dovrebbe trovarsi a San Pietroburgo, ma quasi non ci credo. Cliccatela.

Industrial Landscapes

Le immagini di archeologia industriale sono fra le mie preferite. In realtà questa non è propriamente archeologia perché queste installazioni sono tuttora attive, ma hanno comunque un certo fascino.

L’autore è Dave Bullock e le trovate sul suo sito.

Vuoti e/o abbandonati

Non so voi, ma io sono affascinato dai grandi ambienti vuoti e/o abbandonati.

Il fatto è che, anche se non si notano, le città ne sono piene ed esistono dei gruppi di persone il cui hobby è scoprirli ed entrarci per puro spirito esplorativo e di documentazione. Mi sono imbattuto per la prima volta in una di queste “bande” verso il 1990/91 a Mosca e ho fatto un po’ di giri nei sotterranei della città.

Alla fine ho scoperto che ci sono anche dei blog e dei siti che se ne occupano, alcuni stabilmente, altri saltuariamente. Qui su Dark Roasted Blend, per esempio, potete vedere le immagini di

  • una miniera di sale abbandonata in Romania
  • una base sottomarina sovietica
  • la metropolitana abbandonata di Cincinnati

Ma quello che mi ha colpito di più sono gli enormi spazi scavati sotto Tokyo per far defluire le acque di una eventuale inondazione o di un tifone. Sono tenuti puliti e in ordine, con la consueta precisione giapponese. Click to enlarge.

Everest panorama

western cwmGuardate questo panorama realizzato dal danese Hans Nyberg e se non vi emoziona, preoccupatevi almeno un po’.

Perché questo è il mondo visto dal suo punto più alto. Un luogo che, per una strana ironia, è uno dei posti più inospitali del pianeta e forse proprio per questo, più emozionanti.

Quando si arriva in aereo a Kathmandu. si vede la cima delle montagne in distanza e ci si rende conto che i picchi più alti sono all’incirca alla stessa altezza dell’aereo. È incredibile e inquietante il pensiero che, scalando l’Everest, si mettono i piedi all’altitudine di crociera di un Boeing 747.

Io non ci sono mai arrivato sulla cima e nemmeno vicino, ma, quando ero giovane, ho camminato sul Western Cwm (nella foto, cliccatela), la valle del silenzio, oltre la seraccata del Khumbu, a 6000 + qualcosa metri e qui, circondati dal Nuptse, dal Lhotse e dall’Everest, ci si rende conto che il pianeta è incredibilmente più grande e potente di te e che merita un immenso rispetto…

La via più breve

osakaSe non fosse per il fatto che, come in Inghilterra, si viaggia dalla parte sbagliata della strada, guidare in Giappone sarebbe bellissimo. Ma il problema della sinistra non esiste sulle tangenziali, dove le corsie sono separate da un muro.

Quando la densità abitativa raggiunge i livelli giapponesi, l’unico modo di costruire strade a percorrenza veloce è farle passare sopra le case. Le cosiddette tangenziali viaggiano in aria e il traffico scorre in un limbo gestito da divinità lontane.

osakaUna tendenza che deve fare sempre i conti con lo sviluppo verticale delle grandi città. Così le strade girano intorno alle costruzioni, si avvolgono su sé stesse, si dividono e si ritrovano in un flusso che sembra liquido.

Ma, a volte, l’edificio non può essere aggirato né demolito e così non resta altro che passarci attraverso. Qui, a Osaka, la società che costruiva la tangenziale ha semplicemente affittato tre piani e ci ha fatto passare la strada.

Cliccate sulle immagini per ingrandire. Vedi anche Googlesighting.

Via Darwin

Grand pianos on the beach 2

Questi pianoforti immensi abbandonati sulla spiaggia dell’isoletta olandese di Schiermonnikoog, mi piacciono sempre di più.

Rispetto al post dello scorso luglio, ho nuove informazioni. L’autore è Florentijn Hofman e il titolo è Signpost 5 (Paal 5 in fiammingo) perché l’opera è stata concepita per celebrare il quinto anniversario dell’International Chamber Music Festival che si tiene sull’isola.

Update: avete notato, nella prima immagine, la scritta Hofman & Sons?

Mi fa piacere notare che i pianoforti sono sopravvissuti all’inverno, alle piogge e alle maree. Ecco delle nuove immagini e un grande panorama (cliccate le immagini per ingrandire).

Zona di Alienazione

La zona di alienazione, detta anche zona dei 30 Km, zona di esclusione o semplicemente la zona, è un’area di circa 30 km di diametro attorno a Chernobyl interdetta agli esseri umani a causa della radioattività che permane e rimarrà per migliaia di anni in seguito al disastro del 26 Aprile 1986.

Sebbene gli effetti delle radiazioni siano visibili anche sugli animali (sono stati documentati vari casi di albinismo negli uccelli e mutazioni genetiche nei topi), sembra che per la natura, la scomparsa di ogni attività umana abbia effetti così benefici da compensare anche la presenza delle radiazioni. Senza i limiti imposti dall’uomo, infatti, piante e animali prosperano in modo mai visto prima ed è interessante notare come anche gli studiosi abbiano diverse opinioni sulla situazione. Vedi, per esempio, questi due articoli della BBC, il primo intitolato “Wildlife defies Chernobyl radiation“, mentre il secondo avverte “Chernobyl ‘not a wildlife haven’“.

Quest’area è ormai divenuta una TAZ (zona temporaneamente, ma forse anche definitivamente autonoma). La natura se l’è ripresa e anche nella città di Pripyat, praticamente disabitata, non è raro incontrare un lupo, un orso o una volpe che attraversano la strada.

Nonostante i controlli di polizia, comunque, vi sono ancora circa quattrocento persone, soprattutto anziane, che in un modo o in un altro, sono tornate nelle loro case e vivono nell’area circostante la centrale, rifiutandosi di abbandonare le loro abitazioni. Si cibano dei prodotti della terra, mangiando alimenti come verdura e funghi e bevendo l’acqua dei torrenti, altamente contaminati.

Vi confesso che l’idea di andarci e concludere la vita con un blog dalla zona del disastro è affascinante.

Qui sotto, alcune immagini della città e del fiume Pripyat (cliccate sulle immagini per ingrandirle).

Il luna park visto dalla casa della cultura e un panorama della città con il sarcofago sullo sfondo.
L’entrata a Pripyat e alcuni edifici
Navi abbandonate sul fiume Pripyat, nei pressi della centrale

Il gradino di Hillary

Esistono solo tre veri sport: l’alpinismo, la corrida e l’automobilismo; tutto il resto è soltanto un gioco.
[Ernest Hemingway]

Seguendo la via di sud-est, nella parte finale, la vetta dell’Everest si raggiunge camminando su questa cresta, dal colle sud, passando per il “Balcone” (una piccola piattaforma a 8400 m. con vista a sud e ad est) e la cima sud (un ripiano grande come un tavolo a 8750 m) fino alla sommità (8848 m).

L’ultima difficoltà, a meno di 100 m. dalla cima, è costituita da un risalto roccioso alto 12 m. Una banalità a una quota “umana” (almeno per uno scalatore; sono sempre 12 m.), ma un ostacolo quasi insuperabile a 8760 m., dopo una lunga ascesa e con l’ossigeno che arriva al massimo al 50% del normale solo grazie alle bombole (altrimenti sarebbe il 30%).
Il nome di questa parete è Hillary Step, a ricordare Sir Edmund Hillary, che per primo ha scalato l’Everest insieme allo sherpa Tenzing Norgay.
Oggi l’Hillary Step si supera grazie a una serie di corde fisse, ma fa paura pensare a come devono essersi sentiti quei due quando se lo sono trovato di fronte, alle 10 del 29 Maggio 1953 dopo molte ore di cammino, con le attrezzature dell’epoca. È stato Hillary a issarsi, con enorme sforzo, centimetro dopo centimetro, fino alla cengia che lo sovrasta e ad aprire la strada per gli ultimi metri, relativamente facili, fino alla vetta.

Quindi questo post è dedicato a Edmund Hillary che qualche giorno fa ha superato il suo ultimo gradino. Adesso l’Everest si chiama Sagarmatha in Nepal (सगरमाथा la Dea dei cieli) e Chomolungma in Cina (ཇོམོགླངམ la Dea madre della terra in tibetano), ma l’Hillary Step ha un solo nome, ovunque.

E poi è dedicato anche a te, tanto per dirti che, anche se hai la testa a grandi altezze, sono sempre contento di vederti e non sono arrabbiato…

La città delle tenebre

HakNam, la città delle tenebre, l’antica città murata di Kowloon è stata finalmente demolita nel 1983. Si trattava di un impressionante agglomerato urbano di 200 x 100 metri di solido cemento, con costruzioni alte 10, 12 e in qualche caso anche 14 piani, che era arrivato ad ospitare fino a 50000 persone (cliccate l’immagine per ingrandire).

Nato ai tempi della dinastia Song (960-1279) come avamposto per la difesa del sud, l’insediamento di Kowloon è ben più vasto della città murata. Il suo nome, Kau-lung (Traditional Chinese: 九龍, Simplified Chinese: 九龙) significa “nove dragoni” e deriva dagli otto picchi che la circondano (il nono era l’imperatore medesimo).
Quella che sarebbe diventata la città murata (o fortificata) era stata costruita come fortino a metà dell’800, ai tempi dell’annessione inglese dell’isola di Hong Kong con il trattato di Nanchino (1842).

Nel 1898, poi, l’enclave inglese di Hong Kong venne estesa ai cosiddetti Nuovi Territori sul continente, ceduti per 99 anni, escludendo, comunque, la città fortificata, che allora ospitava 700 persone. La Convenzione per l’estensione dei territori di Hong Kong stabiliva che la Cina avrebbe potuto tenervi truppe, purché non interferissero con il potere britannico sulla penisola.
Con il rispetto della parola data che distinse l’Impero Britannico, l’esercito inglese attaccò il forte solo un anno dopo, per trovarlo, però, completamente deserto.

Da quel momento, la questione della sovranità sulla città fortificata rappresentò sempre un buco nero diplomatico. Gli inglesi se ne disinteressarono, usandola al massimo come un luogo turistico in cui respirare un po’ di aria della vecchia Cina, mentre la popolazione ricominciò a crescere fino alla IIa guerra mondiale, quando i giapponesi occuparono Hong Kong e sfrattarono gli abitanti.
Dalla fine della guerra in poi la popolazione cinese riprese possesso della città che divenne il rifugio di migliaia di profughi in fuga di fronte alla rivoluzione comunista e di molti criminali comuni.

Il vero boom, però, si ebbe dal 1974 in poi, dopo che una spedizione di 3000 poliziotti fece piazza pulita dei componenti di una Triade che aveva stabilito la propria sovranità su quel luogo.
Libera dalla malavita organizzata e priva di qualsiasi controllo statale, Kowloon ricominciò a crescere come un’entità biologica. Le costruzioni si svilupparono l’una sull’altra senza alcun piano e vennero eseguite anche moltissime modifiche praticamente senza nessun intervento da parte di architetti o ingegneri. Migliaia di metri cubi vennero semplicemente assemblati in un patchwork monolitico, riducendo gradualmente gli spazi fino ad arrivare a situazioni paradossali in cui finestre si aprono letteralmente sul muro o sulle finestre del vicino.

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