The Musical Box

angelus novus“C’è un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l’angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera”
[W. Benjamin “Tesi sul concetto di storia” (1940) Einaudi, Torino 1997, pp. 35-7]

Sono rimasto quasi sconvolto nell’apprendere, da questo post di Lemi, dell’esistenza di The Musical Box, una band canadese che riproduce i Genesis

fedelmente, dai vestiti agli strumenti (uno prestato direttamente da Rutherford), dalle scenografie alle luci, non tralasciando nemmeno le mosse e i discorsi tra una canzone e l’altra di Peter Gabriel.
Quando nel 73 sono venuti in Italia, il cantante dei Genesis HA DETTO le cose che ieri sera il cantante dei Musical Box ha ripetuto fedelmente, accenti, toni, errori grammaticali in italiano compresi.

Perché sconvolto?
Perché questa tendenza mi sembra esattamente quella che si è prodotta nella seconda metà dell’800 e ha segnato il passaggio dalla musica tout court alla musica classica:

Così cominciò anche ad emergere l’idea di musica classica; l’idea, cioè, che la musica di alcuni compositori del passato avesse un valore trascendente, che non fosse mero entertainment e quindi che dovesse essere ascoltata con grande attenzione e che dovesse essere eseguita esattamente com’era stata scritta.
E naturalmente anche i compositori del’800 cominciarono ad aspirare a scrivere musica del genere. Una musica che esprimesse sentimenti superiori, non un semplice divertimento. Una musica che li rendesse immortali, anche. E per il romanticismo, così pieno di nostalgia, di grandi ideali e di spinta verso l’assoluto, una concezione del genere era perfetta.
Citato in questo mio post

Detto da uno che insegna in una scuola chiamata Conservatorio, può far ridere (anche se insegno musica elettronica). Ma il fatto che una cosa del genere si palesi anche nella musica “pop” è un indice di decadenza assoluta. Attenzione: non si tratta solo di incapacità di innovare restando all’altezza del passato, ma anche di consapevolezza della propria incapacità di innovare. In altre parole, di resa.
Esattamente la stessa resa che si è manifestata in altre arti, per esempio con i pittori neo-rinascimentali, oppure, in architettura, qui da noi, con cose come la ricostruzione fedele del Teatro La Fenice a Venezia.
Perché, ragazzi miei, quando nel ‘700 crollava una chiesa che magari era lì da qualche secolo, pochi avrebbero pensato di ricostruirla uguale. Si sarebbe detto, invece, adesso la ricostruiremo nuova e più bella di prima, esprimendo fiducia nelle proprie capacità creative.
Con questo non dico che bisogna stendere una bella gittata di cemento sul passato (roll over Beethoven). Il passato va conservato, però il rifarlo uguale è indice della nascita di un culto (in senso culturale), anche perché dei Genesis di allora esistono dischi, filmati, registrazioni. Nulla è andato perso. Non è come il caso della musica classica di cui non abbiamo esecuzioni originali e ogni nuova esecuzione è un’interpretazione e un unicum.
Qui è peggio, perché non c’è interpretazione. Perché, notate bene, senza queste testimonianze tecniche (dischi, filmati), The Musical Box non potrebbe riprodurre pari pari, non solo la musica, ma anche l’evento (i costumi, le mosse, i discorsi, gli errori).
È la resa della creatività. È la chiusura del cerchio di Benjamin: l’opera d’arte, riprodotta tecnicamente, perde il suo status di unicità, per dirla con Benjamin, la sua “aura”. Ed ecco che proprio questa riproduzione tecnica viene usata da qualcuno al fine di riprodurre, fino ai particolari più secondari, quell’opera d’arte. Ma l’aura non può essere riconquistata.
Notate ancora una volta la differenza con la musica classica. Quando ascolto Michelangeli che esegue Beethoven, io, in cuor mio, non ascolto Beethoven, ascolto Michelangeli. In realtà, per me, Michelangeli non è Beethoven. Beethoven è la partitura, non l’interpretazione. Nella musica classica il messaggio viene trasmesso attraverso la partitura, non attraverso l’esecuzione perché ogni esecuzione è una interpretazione e la mia può essere diversa dalla tua. Così, anche quando sento per la prima volta un brano contemporaneo che mi piace, la prima cosa che penso è di vedere la partitura perché solo così posso capirlo e farlo mio.
Ma qui non è così. Qui ricadiamo nel caso della Fenice ricostruita. Il concerto di The Musical Box non è il concerto dei Genesis, è solo un tentativo di riconquistarne l’aura. E così è solo una pallida illusione, un simulacro dickiano.

Posted in Pop

r.e.m.IX

R.E.M.
I R.E.M. hanno concesso le tracce del loro album Reveal del 2001 a vari mixers per farne dei remix.
Sul sito della band potete ascoltare i risultati e scaricare l’intero album.
Nel frattempo ascoltatevi un remix di I’ll take the rain.

R.E.M. provided copies of their 2001 album Reveal to several well-known mixers to do what they will.
The result is this online album appropriately titled R.E.M.IX which is freely available on the band’s web site.
In the meanwhile listen to this I’ll take the rain remix.

Qualche volta si fa festa, altre volte c’è carestia: in mezzo il nulla.

tom waits
Su Repubblica del 10 novembre 2006, in occasione della presentazione di “Brawlers, bawlers and bastards”, il nuovo triplo cd, era uscita un’intervista con Tom Waits breve, ma così bella che non riesco a resistere alla tentazione di riportarla.
Tom parla nel modo che mi è sempre piaciuto: facendo poesia (la descrizione finale della vita è grandiosa). Una cosa che riesce a pochissime persone (uno grandioso in questo era William Burroughs).
In ogni caso riconosco che la proprietà dell’intervista è di Repubblica e dell’autore, Giuseppe Videtti. Mi impegno fin d’ora a toglierla dietro semplice richiesta via mail.
Pensate però che questa vostra bella pagina ormai è finita nel dimenticatoio perché, come dicevano i Rolling Stones, “who wants yesterday’s papers?”. Così, almeno, un po’ di gente la legge di nuovo…

L’intervista. Godetevela ascoltando Bottom of the world, il brano diffuso in internet come trailer del disco.

Lei dice di scrivere canzoni che, a volte, non vogliono essere cantate.
“Incidere una canzone è come catturare un passero: devi farlo senza rischiare di ucciderlo. A volte per la fretta di trasferire una canzone su disco ti resta in mano con un pugno di piume, e il passero, cioè la canzone, è volato via”.

Quando capisce che è il momento di cantare questa o quella canzone?
“Le canzoni hanno una loro gestazione, alcune hanno urgenza di essere diffuse, altre vogliono restare nell’ombra e continuare a cambiare col tempo. La canzone ha una tradizione millenaria, l’industria discografica, al contrario, ha appena cent’anni di vita. Per secoli le canzoni sono state tramandate oralmente. Nessuno può assicurarci che i brani “popolari” sono giunti a noi nel modo in cui furono scritti in origine”.

Qual è stata la prima volta che una canzone le ha attraversato la mente e le ha fatto desiderare di essere un cantautore.
“Quando mio padre mi cantava le arie messicane accompagnandosi con la chitarra. Dovevo avere 4 anni, non di più. Poi arrivò Harry Belafonte e fu amore al primo ascolto. Anch’io sono sempre stato attratto da culture “altre”, la mia musica nasce dalla lotta d’influenze inconciliabili fra loro. Mi piacciono Judy Garland e Black Flag, Frank Sinatra e Sex Pistols, mariachi, rumba, bossa nova…”.

E tango…
“Molto tango… una volta alla radio si ascoltava di tutto, quella è stata la mia scuola. Non ero io che scoprivo la musica, erano quelle canzoni che mi cercavano. Da adolescente ascoltavo il leggendario dj Wolfman Jack, fu lui a spalancarmi gli occhi sulla black music, poi finii in una scuola superiore frequentata in massima parte da neri, e allora scattò la scintilla per James Brown e tutta la musica nera. Che bei tempi, quanti talenti. Oggi l’industria è piena di bugiardi e disonesti. Cercano di convincere il primo venuto che sarà il prossimo Elvis, questo è l’inganno; poi se non vende subito lo buttano via come un barbone, anche se è un genio”.

Com’era l’industria quando lei esordì, negli anni 70?
“C’erano sciacalli e pescecani, come oggi, ma anche a personaggi naïf come me veniva offerta una chance”.

Vuol dire che aveva una dose sufficiente di creatività?
“Creatività? Sì, e molti desideri e sogni, ma ero anche giovane e stupido. E molto fragile, e a qualcuno questa mia fragilità piacque, e decise di proteggermi facendomi incidere un disco. Ma a quel punto ebbi bisogno di un manager e, come succede a tutti, fui frodato”.

A lei fu data la possibilità di continuare a incidere.
“Ognuno vive il suo tempo, io esordii in un periodo in cui l’industria cercava di fertilizzare le uova che aveva nel pollaio. Oggi iPod, Mp3 e Internet hanno atrofizzato l’interesse del pubblico, anche gli artisti hanno perso quel senso d’avventura che ci spingeva a sperimentare. Quel che mi consola è che, nonostante tutto, c’è ancora voglia di suonare dal vivo; la musica continua a essere un bisogno primario”.

Non c’è da essere pessimisti con 33 anni di carriera come la sua.
“Ogni cosa ha il suo prezzo. Fin dall’inizio sapevo che non volevo arrivare a 24 anni e odiare la musica, sapevo che c’erano meccanismi che non mi piacevano e un certo tipo di pop che non avrei mai voluto fare. La mia longevità ha a che fare con una sorta d’integrità che, ovviamente, ha richiesto dei sacrifici economici. Sa come va la storia, no? La tua foto sui giornali diventa sempre più piccola, le recensioni dei tuoi dischi sempre più brevi. Ma è ok, non ho mai pensato di diventare come Beatles e Rolling Stones”.

Che successe nel 1983, quando con Swordfishtrombones diede un taglio netto al passato?
“Mia moglie e io volevamo produrci il disco da soli, sapevamo che era un album diverso, ma tutti volevano che io rimanessi lo stesso, neanche fossi la ricetta di un soft drink. Mi trattavano come una 7Up, io invece ero alla ricerca di qualcosa che non riuscivo a trovare dentro di me. Kathleen diceva: “I tuoi dischi suonano come se avessi sul viso una maschera”, voleva che somigliassi di più a me stesso”.

Cosa la colpì di Kathleen all’inizio, la donna o l’artista?
“La donna. Se non ci fosse stato amore non saremmo ancora insieme dopo 26 anni. E mi creda, collaborare con qualcuno che ami è la cosa più bella. Noi due siamo come la ciurma di una nave, devi saper cucinare, riparare, rammendare, governare, nuotare. La nostra è una grande cucina”.

Sua moglie dice di lei che è l’uomo più testardo che abbia mai conosciuto.
“È vero, è difficile farmi cambiare idea, anche se la paternità mi ha fatto diventare più… malleabile. Il vero matrimonio indissolubile è quello con i figli (io ne ho tre, il più grande suona con la mia band), da loro non puoi divorziare. Riesco a mantenere la calma anche quando mi chiedono: “Hey pa’, puoi trovarmi un paio di biglietti per il concerto dei Red Hot Chili Peppers?””.

Come scorre la sua vita in mezzo a tutto questo silenzio?
“Diversa ogni giorno. È come stare sulla torre di controllo di un aeroporto: momenti di noia mortale, momenti di terrore assoluto. A volte la barca è piena di pesci, a volte sei in cerca della tua fede nuziale in fondo all’oceano, a volte il vento soffia così forte che quasi ti strappa la pelle dal viso, a volte sorseggi un limonata sul bordo della piscina. Qualche volte si fa festa, altre volte c’è carestia: in mezzo il nulla. A volte, come diciamo noi americani per dire che diluvia, piovono cani e gatti, altre volte anche tori, mucche e topi. E qualche volta la mia vita galleggia su un petalo di giglio”.

Oh, guitar…

jimi

Guitar World has compiled a list of the “100 Greatest Guitar Solos” and CityRag found the top 20 on YouTube.
Let’s rock!

Guitar World ha compilato una lista dei “100 Greatest Guitar Solos” (dalla quale dissento furiosamente) e CityRag ha localizzato i top 20 su YouTube.
Let’s rock!

Pink Floyd @ Live 8

Ecco uno dei filmati che mi sembra manchino dalla lista di ieri.
I Pink Floyd originali al Live 8.
24 minuti.

Here is a video missing from yesterday list.
Original Pink Floyd at Live 8.
24 minutes.

Posted in Pop

Paperhouse

Dalla lista dei video di cui sotto, beccatevi questo dei Can. Kraut rock primi anni ’70.

From the list below, look at this video by Can. Kraut rock, beginning of ’70.

Posted in Pop

11500 pop music videos

Continua la catena di s.antonio.
Ecco l’indice alfabetico di 11500 video musicali pop reperibili su YouTube. Se vi interessa, salvatelo finché siete in tempo.
E il bello è che ne mancano.

Grazie ad Anakyn e al resto della catena.

Here is the index to 11500 pop music videos found on YouTube.

Posted in Pop

Cerca e ti sarà dato

radio3net

On radio3net you can find this search service. Write a band’s name and find the available albums from radio3net and the videoclips from YouTube.

Sempre su radio3net esiste anche questo servizio. In questa pagina scrivete il nome di una band e se sono disponibili appaiono i titoli di alcuni album (non tutti quelli della band) che potete ascoltare.
Non è chiaro se questi album debbano essere presenti nella lista dei 1001 del post di ieri.
Vengono anche cercati i filmati presenti su YouTube.

Posted in Pop

1001 albums

radio3net

From this site you can listen to 1001 albums from 1955 to 2005.
In the opinion of the site this are the best 1001 records of last 50 years.

Il perché non è chiaro , comunque da questo sito rumeno potete ascoltare on demand e gratis 1001 albums con data di uscita che va dal 1955 al 2005.
Secondo il sito si tratta dei migliori album degli ultimi 50 anni. Il genere è pop + un po’ di jazz. No classica.
Per ascoltare tutto l’album e vedere anche i testi cliccate sul titolo e poi sull’icona “Ascultă tot albumul”. Per il semplice ascolto cliccate sul cerchietto rosso a sinistra del titolo.

UPDATE
A quanto pare su windoze, dovete usare IE. Con Firefox da me non funziona. Ma per quanto riguarda windoze, io non sono così “autoritativo”. Io ascolto su Linux passando al player il nome del file (per cui potrei anche salvarmelo :mrgreen:).

Posted in Pop

Pop (?) music that I loved (6)

rock bottom

Rock Bottom was recorded in the aftermath of tragic circumstances; confined to a wheelchair after a fall from from a fourth-floor window. Some would choose to wallow in self-pity but Wyatt instead produced what remains arguably his best work yet. 1974’s ‘Rock Bottom’ is a mesmerising journey that marries the hitherto unmatched worlds of jazz and rock into a crazily warped whole where relentless keyboard figures jostle for space with all manner of ideas, spoken word and effects.

Rock Bottom è il primo disco di Wyatt dopo l’incidente del 1973 che lo sbatte su una sedia a rotelle per il resto della vita.
Al di là del risvolto umano, è un bel lavoro con musicisti di eccezione che fonde vena melodica e vocalismo sperimentale, il tutto contornato da accenti vagamente jazz che si mescolano con il sound di Canterbury (sebbene questa definizione sia stata sempre negata e al limite odiata dai musicisti, ormai identifica una certa scena musicale).

Robert Wyatt – from Rock Bottom (1974), Alifib/Alife

Personnel

    Robert Wyatt, vocals, keyboards, percussion, guitar
    Richard Sinclair, bass
    Hugh Hopper, bass
    Laurie Allan, drums
    Mongezi Feza, trumpet
    Ivor Cutler, voice, baritone concertina
    Gary Windo, bass clarinet, tenor sax
    Fred Frith, viola
    Mike Oldfield, guitar
    Alfreda Benge, voice