Dati perduti

È il 2008 e siamo solo a metà marzo.

Quello che segue è un elenco sicuramente parziale della mole di dati sensibili esposti a terzi in violazione della privacy, a causa di negligenze, incidenti, furti o cracking negli USA.

Nell’intero 2007 i casi accertati sono stati 329 e coinvolgono milioni di persone. Questi dati sono raccolti nell’Attrition.org Data Loss Archive and Database. L’archivio è pubblico.

Apprezzate gli effetti collaterali della società dell’informazione. Continue reading

Popolazione zero

Una delle domande che, per una ragione o per l’altra, ogni tanto mi capita di pormi è la seguente:

  • quanto durerebbe la nostra cosiddetta civiltà senza di noi? Se la razza umana semplicemente sparisse in un solo istante, ma senza distruzioni, cataclismi o guerre, una semplice sparizione improvvisa, per quanto durerebbero le nostre infrastrutture senza alcun intervento umano? Per quanto tempo, per esempio, ci sarebbero l’acqua, il gas, la corrente, internet?

E voi mi dite, a qual pro? Nessuno, ovviamente. Si tratta solo di una congettura che però mette in luce il fatto che noi, come singole persone, non sappiamo quasi nulla sulle infrastrutture che ci mantengono in vita.

Prendiamo, per esempio, la corrente elettrica. Da cosa dipende la fornitura di elettricità che arriva a casa vostra? Se dipendesse da una fonte rinnovabile (tipo centrale idroelettrica), forse potrebbe anche continuare per anni. E se invece dipendesse dal petrolio o dal carbone, quanto durerebbero le scorte? E in ogni caso, la fornitura continuerebbe anche se non ci fosse un umano che, in certe occasioni, preme un determinato bottone?

Ovviamente qualcuno che può rispondermi c’è, probabilmente anche fra di voi. Magari c’è qualcuno che lavora all’ENEL o alla Telecom o anche al comune e sa queste cose.

Era un po’ che non ci pensavo, ma la faccenda mi è tornata in mente per due ragioni: la prima è che ho visto “Io sono leggenda”, film a mio avviso abbastanza deludente, tanto che, mentre lo guardavo, mi sono trovato a chiedermi se il fatto che nell’appartamento del protagonista ci fossero tutte le comodità, anche dopo anni, fosse realistico.
La seconda ragione è che, vagando nella rete, ho incocciato “Life After People“, una serie prodotta da History Channel la cui programmazione inizia proprio stasera negli USA.

Probabilmente, la domanda più corretta è: con quali modalità queste reti degradano? Un pezzettino alla volta o un crollo totale? E in quanto tempo?

Allora, c’è nessuno in grado di soddisfare la mia curiosità?

E sia il degrado!

Il Disegno di legge S1861, approvato mentre noi facevamo festa (?) nella notte fra il 21 e il 22 Dicembre 2007 ha fatto due cose: ha trasformato la SIAE in Ente pubblico economico e ci ha fatto graziosamente sapere che cosa può essere messo in rete e a quali condizioni.

L’articolo 70 della vecchia Legge 22 aprile 1941 n. 633 (e successive modifiche) sulla Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio viene modificato con l’aggiunta del comma 1-bis e diventa

      1. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.

1-bis. È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell’università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all’uso didattico o scientifico di cui al presente comma.

Questo comma è stato giustamente attaccato da tutte le parti. Non vedo, infatti, quale utilità possa avere la pubblicazione in rete di immagini e musica a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico. Se io mettessi in rete le dispense di musica contemporanea che ho scritto per i miei studenti (fine didattico), ma per farlo dovessi degradare i brani musicali ivi contenuti (che essendo di musica contemporanea sono ancora soggetti al diritto d’autore), le suddette dispense non servirebbero a nessuno. Così come non si capisce cosa se ne faccia uno scienziato di immagini a bassa risoluzione.

Tuttavia, questa legge ha una interessante conseguenza che, nell’indignazione generale, mi pare sia sfuggita.

Il suddetto art. 70 fa parte del Capo V delle legge 633 che elenca eccezioni e limitazioni al diritto d’autore. Questo comma, quindi, mi dà il diritto di mettere in rete qualsiasi brano musicale, anche attualmente soggetto al diritto d’autore, purché non a scopo di lucro (come in questo e molti altri siti e blog; non ci vendo niente e non c’è nemmeno la pubblicità), a fine didattico/scientifico (e qui basta scrivere una dotta analisi musicale del brano) purché sia sufficientemente degradato.

Quindi, supponendo che qui ci sia una bella analisi didattica di Solsbury Hill di Peter Gabriel e a questo punto potrei dire:

ascoltate Solsbury Hill di Peter Gabriel.

Allora, avete sentito? Vi piace? Come? Fa schifo? Non posso farci niente. È degradato, ai sensi della Legge 633 (e successive modifiche).

Ma questo non è un problema, anzi, è una fantastica opportunità! D’ora in poi possiamo, anzi dobbiamo, per legge, degradare tutto. È fantastico!

Si dia il via a una colossale operazione artistica!

Sia il degrado!!

D’ora in poi non ci deve essere blog che non metta brani di Tiziano Ferro, Ramazzotti, De Gregori, Jovanotti, ma anche di Sting, di Madonna, di Bono fino a Schoenberg, Webern, Berio, Stockhausen, Nono, degradati al punto da essere opere nuove!
E questo pezzo che non so di chi sia? Non importa, nel dubbio, degrada!

E quando gli avvocati di Tiziano Ferro, Ramazzotti, Jovanotti, Sting, Bono, Madonna, etc. ci scriveranno dicendo: “La diffido dall’esporre al pubblico opere del mio assistito così orribilmente deturpate”, noi risponderemo “C…o vuoi!? È LA LEGGE ITALIANA CHE ME LO IMPONE!”

E infine, noi della musica contemporanea possiamo solo guadagnarci. Posso mettere in linea tutto Hymnem di Stockhausen. Voglio vedere quale funzionario SIAE oserà dire che non è degradato. Ma non li sentite, tutti questi disturbi radio che interrompono gli inni nazionali!

A proposito, i pittori non si salvano. Ecco quattro versioni di un poetico quadro di René Magritte secondo i dettami della Legge 633 (e successive modifiche).

Ma così sono opere nuove! E carine, per di più.
Wow! Sono così belli che quasi quasi li firmo e li deposito. Faranno parte di una serie che chiamerò “Downgraded Magritte”. Fantastico!
Come disse Dalì «Non comprate i quadri contemporanei, fateveli!»
Lunga vita alla Legge 633 (e successive modifiche).

Però c’è un problema. Se adesso sono quadri miei, per metterli in rete, li devo ulteriormente degradare. E così farò dei nuovi quadri che firmerò e depositerò. E che poi, per metterli in rete, dovrò nuovamente degradare. Aaaaagh!

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Spero che abbiate capito la provocazione. Ma questa legge è veramente paradossale e fuori da un qualsiasi buonsenso. Cosa hanno nella testa i nostri politici? Vermi?

UPDATE 20150621

Questo disegno di legge è stato approvato definitivamente dal Senato il 21.12.2007. Ma poi che fine ha fatto? È stato mai promulgato un regolamento che stabilisca i livelli di degrado?

師走 : gli insegnanti corrono

Dato che, a quanto ne so, parecchi fra voi sono insegnanti di vario ordine e grado, vi farà piacere sapere quanto segue.

Rispolverando un po’ del mio malandato giapponese, mi torna in mente che, in Giappone, il mese di Dicembre viene chiamato anche shiwasu (師走) che letteralmente significa “teachers running” (insegnanti che corrono). Il primo dei due ideogrammi, infatti, è “shi”: insegnante, maestro, mentre il secondo è la radice del verbo hashiru che significa correre, muoversi rapidamente.

Tutto ciò a riflettere il fatto che Dicembre è un mese così “busy” che perfino gli insegnanti, che normalmente ciondolano qui e là senza avere molto da fare, sono in estrema agitazione perché ci sono un sacco di carte da presentare e cose da chiudere.

A peggiorare la considerazione di noi insegnanti c’è anche il fatto che una mia amica giapponese mi ha tradotto shiwasu con “teachers run around” che a prima vista sembra uno dei tanti phrasal verb tipo run about, ma invece c’è una bella differenza. Secondo il Merriam-Webster, infatti, run around significa “mettere in atto una azione evasiva e/o ritardante in risposta a una richiesta precisa”.

Andiamo bene… 😯

Le magliette dei bianchi morti

È l’espressione con cui gli africani indicano gli abiti usati che provengono dall’occidente, perché nessuno di loro può credere che questi vestiti vengano buttati solo perché noi non abbiamo più voglia di indossarli.

Torno a casa dopo mezzanotte, mi faccio un gin tonic, accendo la tv e piombo in mezzo a un documentario (ovviamente RAI3) che segue il viaggio di una maglietta da un contenitore di abiti usati in Germania fino all’Africa. Il titolo è Mitumba – The second hand road, regista e produttore Raffaele Brunetti.
La storia è molto più complessa di quanto si possa immaginare. A suo modo è una storia estrema. Non è una denuncia. È solo una storia che chiarisce anche un po’ di meccanismi del mercato di cui in genere non ci rendiamo conto.

Dunque, la nostra maglietta viene buttata in un raccoglitore di vestiti usati dalla mamma di un bambino tedesco a cui la maglietta è “scappata”. Lei pensa che questi vestiti regalati vadano a coprire, gratis, gente bisognosa, ma non è esattamente così.
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iPod bloccati

Secondo questo sito, nuovi iPod hanno un codice (un checksum) crittografico che impedisce agli utenti di usarli con applicazioni di terze parti. La notizia è ripresa e confermata anche da Boing Boing.
Traducendo, questo significa che iTunes resta l’unico software capace di gestire un iPod. In soldoni, vuol dire che coloro che preferivano usare Winamp o qualche altro player per gestire l’iPod, con i nuovi modelli non potranno più farlo.
Con la nuova serie, il nuovo Nano, il Classic e l’iTouch, soltanto iTunes è in grado di accedere alla lista dei brani e alle playlist, mentre gli altri player vedono zero file.
Questo però significa anche che gli iPod non potranno più essere utilizzati con sistemi operativi su cui non esiste iTunes, primo fra tutti Linux.
Ma notate che tutto ciò non ha niente a che fare con la pirateria. Serve piuttosto a limitare le scelte di chi acquista un iPod.
La cosa potrebbe sembrare assurda: considerato che questo taglia fuori gli utenti Linux, Apple spende del denaro in ingegnerizzazione per eliminare alcune funzionalità dell’apparecchio e limitare il numero dei potenziali clienti.
Perché lo fa? Una prima spiegazione è evitare che i suoi competitors possano costruire dei software che possano caricare in iPod dei brani che non provengono da iTunes. Ora che parecchie major del disco iniziano a vendere brano senza protezione (DRM), si impedisce agli utenti di acquistare i brani ovunque e caricarli nell’iPod e in pratica questo significa legarli a iTunes.
Inoltre Apple introduce queste restrizioni con il Digital Millennium Copyright Act dalla sua parte, per cui eludere questa protezione è un atto illegale.
È un po’ come vendere un’auto che funziona solo con una determinata marca di benzina, quando sul mercato ne esistono di più economiche e soprattutto senza restrizioni.
Questo gioco è stato fatto altre volte: una azienda lancia un prodotto che ha successo e conquista una solida posizione sul mercato. Poi, quando le altre aziende reagiscono con prodotti più innovativi o a prezzi inferiori, introduce limitazioni per legare a sé almeno gli utenti che ha.
In questo gioco, quelli che pagano il prezzo maggiore sono, come accade spesso, gli utenti. Costoro, poi, reagiscono a quella che considerano una ingiustizia e qualcuno fabbrica un crack e questo è illegale.

Opere buone

ANSA – Tokyo, 14/07/2007

Un misterioso personaggio da circa un mese sperpera il suo patrimonio riempiendo di banconote i bagni pubblici in Giappone. Il denaro finora ritrovato dagli avventori nelle toilette pubbliche e’ di decine di migliaia di euro. Il ‘cerimoniale’ osservato dall’uomo misterioso e’ sempre lo stesso: una banconota da 10.000 yen (60 euro) e’ chiusa in una busta accompagnata dalla scritta ‘opere buone’. All’interno oltre al denaro c’e’ un messaggio che esorta a compiere buone azioni.

Forse la festa sta per finire

Chissà perché qui quasi nessuno parla mai della teoria del picco di Hubbert.
Si tratta di una teoria scientifica, proposta, nella sua formulazione iniziale, nel 1956 dal geofisico americano Marion King Hubbert, riguardante l’evoluzione temporale della produzione di una qualsiasi risorsa minerale o fonte fossile esauribile o fisicamente limitata. In particolare, l’applicazione della teoria ai tassi di produzione petrolifera, risulta oggi densa di importanti conseguenze dal punto di vista geopolitico, economico e ingegneristico.
La teoria permette di prevedere, a partire dai dati relativi alla “storia” estrattiva di un giacimento minerario la data di produzione massima della risorsa estratta nel giacimento, così come per un insieme di giacimenti o una intera regione.
In particolare, la storia di produzione della risorsa nel tempo segue una particolare curva a campana, detta appunto curva di Hubbert, che presenta in una fase iniziale una lenta crescita della produzione, che man mano aumenta fino ad un punto di flesso e quindi al picco per poi cominciare un declino dapprima lento, e quindi sempre più rapido.
Hubbert basò inizialmente la sua teoria sull’osservazione dei dati storici della produzione di carbone in Pennsylvania, giungendo solo in seguito ad una trattazione matematica generalizzata applicabile anche ad altri casi.
Estrapolando la sua teoria al futuro della produzione di petrolio degli stati continentali americani, Hubbert fece la previsione (nel 1956) che agli inizi degli anni ’70, gli USA avrebbero raggiunto il loro “picco di produzione” petrolifera.

Le conclusioni di Hubbert furono inizialmente trattate con “sufficienza” dagli ambienti scientifici ed economici, situazione che cambiò radicalmente nei primi anni 70, quando, effettivamente, i 48 stati continentali USA raggiunsero il loro picco di produzione. La concomitanza di questi eventi con le crisi petrolifere del 1973 e del 1979 fece di Hubbert forse il geofisico più famoso del mondo.

Negli ultimi anni diversi studiosi in tutto il mondo (tra cui Colin Campbell, Jean Laherrère ed altri) hanno ripreso le sue teorie riuscendo, in primo luogo ad estendere l’analisi a tutti gli stati americani, ed in seguito cercando di estrapolare e formalizzare meglio i suoi risultati al fine di prevedere il picco di Hubbert della produzione mondiale di petrolio e gas naturale.
Sebbene tali analisi risultino molto più complicate a causa della grande incertezza sulle riserve petrolifere di molti stati (in particolare mediorientali), la maggior parte delle analisi fa cadere il “picco di Hubbert mondiale” all’incirca nel secondo decennio del XXI secolo o, più precisamente, tra il 2006 e, al più tardi, il 2020, anche in previsioni di eventuali crisi economiche che potrebbero temporaneamente ridurre la richiesta di petrolio.
Altri studi collegati, che tengono in conto anche lo sviluppo di fonti petrolifere “non convenzionali”, quali le sabbie bituminose, gli scisti bituminosi, e i gas liquefatti (detti anche NGL) non giungono comunque a ‘spostare’ di molto in avanti queste date.
[da wikipedia]

Ne consegue che, se Hubbert ha ragione, tra 15/20 anni si dovrebbero cominciare a sperimentare gli effetti di una produzione petrolifera in discesa a picco, avviata verso la fine. E non sarà un bel vedere…

UPDATE
Sincronicità junghiana.
Proprio adesso arriva da Nicola questo link al report di Luglio della IEA, International Energy Agency.

L’idiozia italiota

Secondo Punto Informatico, Wikipedia Italia è arrivata alla sofferta decisione di eliminare le fotografie raffiguranti opere architettoniche in Italia di progettisti ancora in vita, o morti da meno di 70 anni (come previsto dalla Legge 633/1941 sul diritto d’autore). Questo perché la legislazione italiana, a differenza di molti altri paesi, non contemplerebbe il cosiddetto “panorama freedom” (diritto di panorama), che permette a chiunque di fotografare e riprodurre quanto pubblicamente visibile senza preoccuparsi di dover trovare il progettista e pagargli i diritti d’autore.
Già in Italia si costruisce poco, ma così anche le opere di Piano, Fuksas, Piacentini e di tutta l’architettura moderna italiana non potranno essere viste da nessuno (almeno quelle residenti sul territorio nazionale, perché in tutti gli altri paesi il suddetto diritto esiste).
Così, mentre la Germania finanzia lo sviluppo di Wikipedia, l’Italia la diffida dall’uso di fotografie di quadri presenti nei propri musei, come ha fatto nel gennaio 2007 la Soprintendenza per il Polo Museale fiorentino e vieta la pubblicazione delle immagini di tutte le opere architettoniche moderne presenti nel proprio territorio.
C’è da chiedersi se, a questo punto, anche Google Earth sarà costretto a mascherare le sue foto satellitari con bollini neri sparsi per tutto il nostro paese.

In realtà un sistema per ovviare a questa legge idiota ci sarebbe. Basterebbe che l’Ordine interpellasse i propri aderenti o i loro eredi chiedendo di concedere motu proprio il diritto di panorama. Ma la vedo male…