Devi morire (1)

Dal Corriere del 7/2

Bill Gates risponde picche all’accorato appello di Gorbaciov.

Microsoft: no a clemenza per il prof pirata.

Freddo comunicato dalla casa di Redmond: non ci sono le condizioni per ritirare l’accusa a Ponosov, preside di una scuola di un villaggio degli Urali.

NEW YORK – Bill Gates, il fondatore di Microsoft, ha risposto picche. Nonostante l’accorato appello del premio Nobel per la pace Mikhail Gorbaciov, non ci sono le condizioni per ritirare le accuse di pirateria nei confronti di Aleksandr Ponosov, preside della scuola di un piccolo villaggio degli Urali. L’insegnante russo rischia di finire in un carcere della Siberia per avere utilizzato software della casa di Redmond senza regolare licenza nella scuola. Ponosov si difende dicendo di avere commesso un crimine senza saperlo: i computer gli sono stati venduti con una versione pirata del sistema operativo di Microsoft preinstallata. La società, in una nota dell’ufficio di relazioni esterne di Londra, loda la determinazione nel perseguire i reati di pirateria informatica e prende le distanze dall’inchiesta della magistratura russa, senza alcun cenno di clemenza.

Siamo ostaggi

Questo post prende le mosse da un fatto.
The Pirate Bay annuncia: “Era solo una questione di tempo, e infatti eccoli qui! Ieri l’utente Lyzz ha fatto la storia pubblicando il primo film HD DVD” (fonte Punto Informatico).
Circa un mese fa, un programmatore che si fa chiamare Muslix64 ha infatti annunciato di essere riuscito ad aggirare l’Advanced Access Content System (AACS), il nuovo sistema di protezione adottato dai formati DVD di nuova generazione Blu-ray e HD DVD.
Ora troviamo i primi HD DVD (file da oltre 20 Gb) su Bit Torrent. Il tutto fa presagire l’ennesima guerra major contro utenti, ma il blog Bored With Everything fa questa considerazione (prontamente tradotta da Punto Informatico): “Cos’è che traina la tecnologia più di qualsiasi altra cosa? La pirateria. Con la possibilità di visualizzare i file con molti diversi software DVD, questo è un grosso balzo per HD DVD, anche se loro (i produttori di tecnologia, ndr.) non lo dichiareranno pubblicamente. Il prossimo passo saranno masterizzatori HD DVD a buon prezzo, e così la guerra dei formati avrà fine”.

E così arriviamo al punto di cui personalmente sono convinto da anni. Tutto questo dibattito copyright/copyleft è importante, ma in realtà la guerra che si sta combattendo oggi è un’altra in cui noi non siamo protagonisti, ma ostaggi. È una guerra industriale e commerciale in cui noi siamo il territorio da conquistare.
Prendiamo, per esempio, la famosa faccenda del file sharing. Sembra essere una questione fra le major e gli utenti, ma non è così.
In realtà, da una parte ci sono le major che vendono musica e film, ma dall’altra ci sono le telco (compagnie di telecomunicazione) che vendono connessioni internet.

  • E secondo voi, quante ADSL si venderebbero a circa € 30 al mese se non ci fosse qualcosa da scaricare gratis?
  • Quanti comprerebbero l’ADSL solo per leggere la posta e surfare un po’?
  • E quanti la comprerebbero per poi spendere altri soldi per comprare contenuti?
  • E quanti lettori DVD si sarebbero venduti per metterci dentro solo materiale regolarmente acquistato o noleggiato?
  • E quanti iPod?
  • Sapete che una ricerca ha mostrato che solo il 17% della musica caricata su iPod è stata regolarmente acquistata? (fonte BBC)
  • E ancora, chi avrebbe in casa un masterizzatore solo per fare il backup dei dati?

Il tutto assomiglia molto alla guerra fra major e produttori di registratori di un po’ di anni or sono.
E poi, considerando che il porno costituisce di gran lunga la maggior parte di ciò che viene scambiato in rete, vi siete mai chiesti perché i produttori di porno non protestino mai per le copie? Solo perché il loro prodotto è moralmente discutibile? (ma lo è?). Non scherziamo. Il fatto è che loro sanno che più gira, più si vende.
La guerra vera, quindi, è fra i produttori di contenuti da una parte e i costruttori di hardware e le telco dall’altra. Noi siamo ostaggi.

Niente reato se non c’è lucro

Non si può non segnalare questa sentenza della Cassazione che stabilisce che non è reato scaricare files da internet se non vi è scopo di lucro, anche se il materiale scaricato è protetto da copyright.

Micronazioni

sealand
In breve, la notizia (segnalata da Nicola) è questa;
il gruppo svedese anti-copyright The Pirate Bay sta raccogliendo fondi per acquistare una micronazione e piazzarci un server per distribuire contenuti sfuggendo alle leggi sul copyright grazie all’extra territorialità.
La storia è simpatica, e ci offre l’opportunità di raccontare qualcosa sulle micronazioni (penso che pochi sappiano cosa sono e che esistono, oltre naturalmente a quella già note come il Vaticano, S.Marino, Andorra, etc).
In pratica, un micronazione è un lembo di territorio che, per qualche anomalia geografica e/o storica non sembra ricadere sotto la giurisdizione di alcuno stato oppure una parte di territorio che ha rivendicato la propria indipendenza e ottenuto qualche tipo di riconoscimento.
Nella prima categoria ricade, per esempio, l’isola artificiale di Sealand (nella foto) che è proprio quella che The Pirate Bay vorrebbe comprare.
La storia è questa. Durante la seconda guerra mondiale il governo inglese aveva costruito delle piattaforme marine dotate di artiglieria poco oltre le acque territoriali. Servivano per avvistare in anticipo gli aerei e soprattutto i missili nazisti (V1 e V2) e abbatterli prima che arrivassero sul territorio inglese.
Alla fine della guerra vennero tutte demolite tranne una, il famoso royal fort Roughs Tower che sorge a nord della foce del Tamigi a 7 miglia dalla costa (il limite delle acque territoriali era allora di 6 miglia).
Per molti anni Roughs Tower rimase abbandonata, res derelicta et terra nullius fino a quando, il 2 settembre 1967, l’ex maggiore Paddy Roy Bates la occupò, dichiarandola territorio indipendente, andando a viverci e dandole il nome di Principato di Sealand.
Ovviamente il governo inglese reagì inviando truppe. Vennero sparati anche alcuni colpi. Bates era sempre cittadino inglese, per cui venne arrestato e processato e qui arriva il colpo di scena.
Come era suo dovere, la giustizia inglese, che spesso è seria, si dichiarò incompetente per territorio, perché l’isola è fuori dalle acque territoriali. Roy di Sealand ritornò libero alla sua isola che ricevette un primo importante imprimatur di indipendenza.
Più tardi accaddero altri fatti cruenti. Nel 1978, mercenari olandesi al soldo di un uomo d’affari tedesco occuparono l’isola con la forza, ma vennero poi sconfitti e fatti prigionieri da Roy (che in quel momento si trovava in Inghilterra) e dai suoi uomini. Di conseguenza, i governi olandese e tedesco intavolarono trattative con Sealand per il rilascio dei prigionieri, dando all’isola un ulteriore riconoscimento di sovranità.
La situazione attuale di Sealand sembra essere tranquilla. Un internet provider, HavenCo Limited, ha anche posto la propria sede sull’isola, dotandola di una connessione ad alta velocità e pubblicizza la propria sede extra-territoriale come fonte di sicurezza per dati sensibili e transazioni finanziare al riparo dalle grinfie governative.
Ecco quindi l’interesse di Pirate Bay che vorrebbe farne un centro di distribuzione di materiale copyrighted in barba alle leggi europee. Per ora hanno raccolto solo $14.000.

Fin qui la storia di Sealand, ma pochissimi sanno che un tentativo analogo è stato fatto anche in Italia. Nel 1965, un costruttore, tale ing. Rosa, edificò una piattaforma in Adriatico, davanti a Bellaria, poco fuori le acque territoriali.
L’isola venne aperta al pubblico nel 1967. Si pensava di impiantarvi una serie di attività commerciali: un ufficio postale, un negozio di souvenir, un piccolo albergo, un ristorante, un bar ed un night-club.
Il 1 maggio 1968 venne dichiarata l’indipendenza e la piattaforma venne battezzata Isola delle Rose. Le azioni di Rosa furono viste dal governo italiano come uno stratagemma per raccogliere i proventi turistici senza il pagamento delle relative tasse e la reazione fu dura: 55 giorni dopo la dichiarazione d’indipendenza, il 25 giugno 1968, un gruppo di quattro carabinieri ed alcuni ispettori delle imposte atterrarono sull’isola e ne presero possesso, senza alcun atto di violenza, con un’azione ai limiti del diritto internazionale. Il governo della Repubblica dell’Isola delle Rose inviò telegrammi di protesta anche al governo italiano, ma fu ignorato. L’11 febbraio 1969, sommozzatori della Marina Militare Italiana distrussero con l’esplosivo la piattaforma artificiale, eseguendo la sentenza del Consiglio di Stato di giovedì 17 luglio 1969. La proprietà si rifece prima al TAR, poi al Tribunale Internazionale dell’Aja, ma, alla fine, cedette e dell’Isola delle Rose e di ciò che si favoleggiava attorno, nessuno parlò più.

Downhill Battle

 

Downhill Battle is a non-profit organization working to support participatory culture and build a fairer music industry.
Their plan is to explain how the majors really work, develop software to make filesharing stronger, rally public support for a legal p2p compensation system, and connect independent music scenes with the free culture movement.
On the site you can find many interesting papers about the music industry world and projects to spread the music share idea and support movements against the majors.

Downhill Battle è un sito di attivismo musicale che sostiene l’idea di una libera distribuzione della musica in cambio di un abbonamento mensile flat sui 5-10 dollari che dovrebbe poi essere distribuito fra gli artisti in quantità proporzionale al numero dei downloads, spezzando il monopolio delle major.
Sul sito si trovano molti materiali di interesse, come articoli su vari aspetti del mondo discografico, fra cui il famoso articolo di Steve Albini, ex produttore dei Nirvana, che mostra, calcoli alla mano, come sia possibile che alla fine dell’anno una band abbia generato un giro d’affari di oltre 3 milioni di dollari, producendo per la major un profitto di $710.000 mentre i membri della band si ritrovano con $4031 a testa.
Downhill Battle porta avanti anche dei progetti come Banned Music in cui si distribuiscono via bit-torrent i dischi che le major hanno bloccato, come per es. il Grey Album di DJ Danger Mouse, remix del White Album dei Beatles, mai uscito per l’opposizione della EMI.

White Christmas

illegal art

A good way to celebrate Christmas.
This track by Corporal Blossom is a mix of illegal samples from many White Christmas versions.
Of course it is published by Illegal Art.

Ecco un buon modo per festeggiare il natale.
Questo pezzo di Corporal Blossom è formato da campionamenti tratti da molte versioni di White Christmas montati insieme, su nessuno dei quali sono stati pagati i diritti.
Ovviamente, è distribuito da Illegal Art.

Codev2

 

The Lawrence Lessig new book, Codev2 is out today. From the Preface: “This is a translation of an old book—indeed, in Internet time, it is a translation of an ancient text.” That text is Lessig’s “Code and Other Laws of Cyberspace.” The second version of that book is “Code v2.” The aim of Code v2 is to update the earlier work, making its argument more relevant to the current internet.
This is the book’s site from which you can download it in pdf format or buy it.

Il nuovo libro di Lawrence Lessig, inventore delle licenze Creative Commons e autore di Cultura Libera di cui abbiamo già parlato, si intitola Codev2 (Code version 2.0) ed è appena uscito. Si tratta di una revisione che l’autore definisce come una traduzione, del suo famoso testo del 1999 Code and Other Laws of Cyberspace.
Perte del nuovo testo è stato scritto in forma collaborativa in un Wiki. Il libro è scaricabile in pdf (in inglese) ma si può anche acquistare già stampato sul suo sito.

Illegal Art

illegal art

Here is the new Illegal Art CD. The tracks published here make large use of sampling and would never have existed if the artists had adhered to copyright law. Artists include Public Enemy, Beastie Boys, JAMs, Elastica, Verve, Xper.Xr.
Can find the whole album here.
Now listen to a short piece by De La Soul, “Transmitting live from Mars”, that samples a song by the 1960s band The Turtles (do you remember Happy Together?), but don’t lose the Culturcide contribution “They Aren’t the World”, nasty and out-of-tune parody of We Are the World.

L’organizzazione Illegal Art pubblica, nella sua sezione audio, un nuovo album totamente illegale in quanto i pezzi sono quasi totalmente composti di campionamenti per cui non sono stati pagati i diritti.
Aderiscono all’iniziativa gruppi più o meno noti, fra cui Public Enemy, Beastie Boys, JAMs, Elastica, Verve, Xper.Xr.
Trovate l’intero album, qui.
Io vi posto un simpatico frammento di De La Soul, “Transmitting live from Mars”, materia di scontro con i Turtles (quelli di Happy Together), ma non perdetevi They Aren’t the World dei Culturcide, cattivissima e stonatissima risposta ai We Are the World di natalizia memoria.

Le perversioni del copyright (3)

Non contenta di essersi attirata l’odio dei consumatori di cd, l’industria discografica sta ora cercando di alienarsi definitivamente anche i chitarristi dilettanti. Con la solita minaccia di una causa interminabile e costosa, ha fatto chiudere Olga.net (Online Guitar Archive), un sito che ospitava 34.000 intavolature per chitarra ed era visitato da circa 1.900.000 utenti al mese.
La ragione addotta è la solita: secondo gli editori, l’intavolatura equivale alla partitura e quindi il sito produceva loro un danno in termini di mancata vendita.
Ma, maledizione, stiamo parlando di canzoni e qui facciamo due considerazioni.
La prima è operativa. Nella pop music, le intavolature servono principalmente a chi non sa leggere la musica e non è nemmeno in grado di “tirare giù” a orecchio la parte di chitarra dal disco. Ne consegue che la maggior parte degli utenti che andavano su Olga, non avrebbe mai comperato la partitura, che per loro è una accozzaglia di cacche di mosca completamente inutili.
La seconda considerazione è molto più importante perché riguarda il nostro diritto di condividere la cultura. Se una canzone è cultura, un certo diritto di condivisione deve essere assicurato. Una società sta in piedi solo perché i suoi membri condividono e confrontano le loro esperienze culturali e in tal modo si costruisce una base di convivenza e comprensione.
Se, per ipotesi, i miei vicini fossero un cileno, un arabo, un cinese e uno del Mali, potremmo anche rispettarci e scambiare ogni tanto due parole sul tempo, ma non saremmo mai un gruppo socialmente integrato né tantomeno amici. Amici lo si diventa con la frequentazione e la frequentazione è favorita da cose come l’ascoltare o il fare musica/teatro/danza insieme, giocare a qualcosa, prestarsi film o libri. In pratica, è lo sviluppo di attività culturali comuni in cui ciascuno dà e prende qualcosa dagli altri che crea un tessuto sociale.
Quindi, in ultima analisi, qualsiasi limitazione di tale condivisione crea un danno sociale non banale. Se per fare una festa, invitare i miei vicini e suonare qualcosa insieme a loro devo fare delle carte bollate e pagare la SIAE, non la farò mai. E così sarà andata persa una occasione.
Ora, so già che questi mi diranno: ok, i tuoi vicini sono al massimo 20 persone, ma qui si parla di 1.900.000 utenti al mese.
Allora, primo (vedi sopra), sono utenti che non facevano parte del tuo mercato.
Secondo, questo è internet. Vogliamo internet o non lo vogliamo? Nota che internet ti dà modo di allargare a dismisura il tuo mercato, azzerare i costi di supporto, stampa e distribuzione, cioè almeno il 30% del costo del prodotto, perciò potrai vendere a prezzo più basso, quindi di più e con un margine di guadagno superiore.
Terzo, mettetevi in mente che il vostro modello di business è radicalmente cambiato e voi non controllate più il mercato, come potevate fare prima. Oggi chiunque può registrare un disco e promuoverlo sulla rete. Se finora solo raramente è stato fatto, è solo questione di tempo. In realtà, voi potete cambiare o morire, questo è il vostro destino e anche costruire un internet blindata con il trusted computer (TCG e TCPA) e il DRM non servirà perché i produttori di musica impareranno a fare senza di voi. Potete riciclarvi in molti modi: agenzie di pubblicità, consulenza artistica, consulenza organizzativa…
Avete mai sentito quella storiella sui due produttori di finimenti per cavalli che guardano la strana invenzione di un tale Ford?. Uno, in un momento di preveggenza, dice all’altro “Questa automobile ci farà fuori” e l’altro fa “Ma no, sei pazzo. Non va sui prati, non scala le colline, ha bisogno di questa roba puzzolente, benzina, e poi funziona solo sui sentieri piatti…”
Adesso gli eredi di quello preveggente fabbricano sedili per auto, l’altro è sparito.

Le perversioni dei brevetti (1)

Tanto per allargare un po’ il discorso del post precedente, pubblico qui parte di un mio testo di qualche anno fa riguardante i brevetti, finora non pubblicato.
Potrebbe anche chiamarsi “Le perversioni del libero mercato 1 (aka L’Etica Aziendale)”, ma mettendola su questo piano, la serie non finirebbe mai…
È lungo, ma spero interessante. Comunque, per non annoiare, ho messo un link di continuazione a metà.

In tutte le legislazioni esiste il brevetto ed è visto come un incentivo alla ricerca. Il ragionamento è: assicurando una ventina di anni di sfruttamento esclusivo dell’invenzione o di introiti derivanti dai diritti, l’investimento degli ingenti capitali necessari alla ricerca diventa conveniente.
In teoria è giusto, ma il problema è che la realtà non è quasi mai così. Spesso la presenza del brevetto è un ostacolo alla diffusione di una invenzione. A volte ne provoca anche la scomparsa.
Andate a vedere, per esempio, a quando risale il brevetto dell’air-bag, che pure è un oggetto salvavita (secondo le stime del governo statunitense, 15.000 vite salvate contro le 242 perdute perché il passeggero non aveva la cintura al momento dell’impatto) e scoprirete che è del 1952 e appartiene a tale John Hetrick.
Il brevetto arrivò a scadenza nel 1972, guarda caso proprio un anno prima che General Motors decidesse di piazzare i primi air-bag della storia dell’automobile su alcune versioni della Chevrolet Impala. Inoltre, le industrie automobilistiche erano molto reticenti all’installazione di questo sistema, anche quando tutti i test ne provavano l’efficacia, perché aumentava costi e prezzi, tanto che il governo statunitense dovette renderlo obbligatorio con una legge nel 1984.
Tutto ciò dimostra che:

  • le aziende hanno consapevolmente ritardato per almeno 20 anni l’adozione di un sistema salvavita;
  • anche a brevetto scaduto, le aziende non lo avrebbero introdotto senza una disposizione governativa, a riprova che il cosiddetto libero mercato necessita di un controllo continuo e feroce;
  • pur avendola brevettata, Hetrick non guadagnò un solo penny dalla sua invenzione;
  • si tratta di una ulteriore prova che l’esistenza dei brevetti non porta benefici ai consumatori e non incrementa la ricerca, anzi, spesso la blocca;
  • dov’è l’etica aziendale?

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