Eclipse

Il secondo allievo di Messiaen di cui abbiamo parlato un paio di giorni fa, è Alain Gaussin, nato nel 1943.

Questo brano, Éclipse, per piccola orchestra e due pianoforti è costruito intorno a una idea di mutazione. Le fascie sonore statiche iniziali si trasformano lentamente in una serie di ritmi sovrapposti che, a loro volta, mutano in un insieme magmatico di frasi, fino alla violenta cesura percussiva centrale, dopo la quale il magma si ricostituisce, per poi dissolversi nel finale.

Eseguito dall Ensemble Intercontemporain diretto da Eotvos

Att.ne: il video tratto da Youtube inizia con Eclipse che dura fino a 16’19”. Poi continua con altri due brani di altri autori.

Enka I

Vi facciamo ascoltare un brano di Susumu Yoshida perché rappresenta molto bene l’atteggiamento giapponese nei confronti del silenzio.

Composta nel 1978, Enka I (esiste anche un Enka II), per soprano e nove strumenti, si ispira allo spirito (non allo stile) di un certo tipo di canzone popolare giapponese. Enka, in Giappone, è un genere musicale popolare, che potrebbe essere paragonato alle canzoni drammatiche di Gilbert Bécaud o Edit Piaf in Francia.

Qui, Susumu Yoshida vuole analizzare, estrarre e ricostruire l’essenza drammatica dell’Enka, ma lo fa con gesti che, a noi occidentali, appaiono estremamente misurati, nella tradizione del teatro giapponese in cui anche la semplice posizione di una mano ha un significato preciso.

giardino di pietre e sabbiaBellissimo e spiazzante è ciò che il compositore dice del silenzio, che abbonda in quest’opera:

La mia musica si basa sul silenzio. È una musica concepita “in negativo” in quanto le note esistono solo per creare e condizionare questo silenzio. Il silenzio non è il Nulla, non è solo il momento in cui non si sente più niente, è una forma di esistenza in sé, che si nasconde dietro alle note.

Questi silenzi non sono cageani e non sono espressivi. Non si può non pensare al giardino di pietre e sabbia del tempio Ryoanji a Kyoto, oppure ai vuoti delle pitture orientali.

Susumu Yoshida – Enka I (1078), per soprano e nove strumenti
Yumi Nara soprano – Orchestra Colonne, Hikotaro Yazaki cond.

Byzantine Prayer

Un altro bel brano di Radulescu. Si tratta di Byzantine Prayer opus 74 del 1988, per 40 flautisti con 72 flauti. Il brano è un requiem per Giacinto Scelsi.

In scena, i 40 flautisti sono distribuiti in 8 gruppi concentrici composti da 1, 2, 3, 5, 8, 13, 5, 3 strumentisti, dal centro verso la periferia. In questa progressione il lettore attento avrà certamente riconosciuto la serie di Fibonacci.

La strumentazione è distribuita come segue:

  • l’esecutore centrale (1) suona un flauto ottobasso (3 8ve sotto il consueto flauto in do);
  • i 2 del primo cerchio hanno un flauto contrabbasso e un basso;
  • i 3 ancora più esterni suonano un flauto in sol (una 4a sotto al flauto in do: alto flute in inglese);
  • il primo gruppo da 5 esecutori impugna altrettanti flauti bassi;
  • i tre gruppi seguenti (8, 13, e ancora 5 esecutori) suonano quello che ritengo essere il comune flauto in do (grand nelle note);
  • con i 3 più esterni si torna ai flauti in sol.

A questo punto non mi è chiaro perché nelle note si parli di 72 flauti, cosa che sarebbe possibile solo se alcuni esecutori dovessero cambiare strumento nel corso del brano, mentre, da questa descrizione, non sembra.

Il brano è formato da un Ritornello Litanico costruito su un teorico spettro di LA e da tre Intermundi che sviluppano altri 6 spettri e fanno largo uso della tecnica della modulazione ad anello per la generazione delle frequenze.

Il suono, infine, si muove circolarmente perché i 40 esecutori sono distribuiti nella sala.

Horatiu Radulescu – Byzantine Prayer opus 74 (1988)

Radulescu

Horatiu Radulescu, compositore rumeno che vive in Francia si dedica alla musica spettrale fin dalla fine degli anni ’60 in un modo che, però, si allontana da quello dei più noti francesi Grisey e Murail. In effetti, più che costruire “armonie” o figurazioni, come accade nel caso dei francesi, Radulescu tende a costruire suoni a densità spettrale variabile servendosi di tecniche esecutive appositamente studiate e facendo largo uso del concetto della modulazione ad anello che produce somme e differenze di frequenze date.

Vi faccio ascoltare Frenetico il longing di amare, opus 56 (1984-87).

Questo brano è per basso, flauto contrabbasso (o octobasso) e sound icon. Quest’ultimo strumento altro non è che l’arpa di un pianoforte piazzata in verticale, con accordatura non standard, definita dall’autore in base alle componenti spettrali che intende utilizzare. Le corde vengono suonate con un archetto e in questo pezzo ha un ruolo di bordone, i cui suoni vengono colorati spettralmente dagli altri strumenti.

Horatiu Radulescu –  Frenetico il longing di amare, opus 56 (1984-87)

Cloches d’adieu, et un sourire

Sempre nell’anno del centenario di Olivier Messiaen, stavolta abbiamo un tributo da parte di Tristan Murail a uno dei suoi maestri.

“Cloches d’adieu, et un sourire… in memoriam Olivier Messiaen”, scritto nel 1992, anno della morte di quest’ultimo, è un breve brano per piano solo che evoca il sesto degli Otto Preludi di Messiaen, “Cloches d’angoisse et larmes d’adieu”. Il pezzo di Murail si collega a quello di Messiaen per delle citazioni ritmiche e intervallari, inframmezzate da varie rotture del tempo.

Tristan Murail – Cloches d’adieu, et un sourire – Dmitrii Shchukin, pianoforte

Graph Theory

Sempre sul sito di Jason Freeman troviamo questo interessante “gioco compositivo” che consiste nel concatenare diversi frammenti eseguiti da un violino solo seguendo una mappa di connessioni possibili sotto forma di grafo.

Una volta ultimata la composizione è possibile ascoltare tutti i frammenti concatenati.

Prior Art

Prior Art è un bel brano per 10 strumenti di Jason Freeman. Si tratta di un pezzo raffinato e delicato in cui, dietro all’apparente facilità delle parti, si nasconde un complesso equilibrio dinamico e timbrico.

La formazione è

  • flute
  • oboe (doubles on metal wind chimes)
  • bass clarinet
  • horn (doubles on suspended cymbal)
  • piano
  • percussion (vibraphone, crotales, snare drum, tam-tam)
  • violin, viola, cello, and bass

Si può ascoltare dal suo sito ed anche possibile scaricarne la partitura, sia pure in una versione di studio con watermark.

Jason Freeman – Prior Art (2004), performed by Ensemble Surplus, James Avery, conductor, September 2005, Stuttgart, Germany.

Rihm

Wolfang Rihm è una figura abbastanza importante nella musica contemporanea tedesca. Nato nel 1952 a Karlsruhe, di formazione musicale tradizionale, pur avendo poi studiato con Stockhausen non aderì mai completamente allo sperimentalismo di Darmstadt e Donaueschingen.

Quando compongo io non voglio sforzarmi perché venga fuori la costruzione o il piano dell´opera, ma voglio partecipare al flusso cangiante delle forme; io voglio solo andare dentro, essere trascinato.

Di Rihm si può trovare su AGP la sua seconda opera, Jakob Lenz (1977/78) per solisti, coro e orchestra da camera: due oboi (anche corno inglese), un clarinetto (anche clarinetto basso), un fagotto (anche controfagotto), una tromba, un trombone, un percussionista, un clavicembalo (talvolta, come nelle scene X e XI, amplificato) e tre violoncelli. Spicca la mancanza del violino tra gli archi e del flauto tra i legni. I cantanti sfruttano tutti i tipi di emissione, dal parlato fino all’intonazione vera e propria; anche la recitazione è spesso inserita con una vasta gamma di sfumature e inflessioni.

Il testo è tratto da una novella di Büchner, adattata da Michael Fröhling, incentrata sulla figura del poeta tedesco Lenz. Il quale anticipò il romanticismo proprio come Büchner fu il precursore dell’espressionismo. Il poeta Michael Reinhold Lenz, nato in Livonia nel 1751, fu trovato morto, a Mosca, per strada, un giorno del 1792. La sua fu una vita dura, sofferente ed emarginata, scissa tra l’educazione religiosa pietista e l’attrazione per un naturalismo pagano ed erotico. Continuando nella catena di rimandi che caratterizza il lato evocativo della scrittura di Rihm, ricordiamo che Lenz fu, per un certo periodo, amico di Goethe. Proprio una frase del Faust , nella prima parte, simbolizza l’atroce contrasto interiore di Lenz: «Due anime, ahimé, dimorano nel mio petto; e una è sempre divisa dall’altra». Nel 1778, Lenz manifestò i primi veri e propri sintomi di schizofrenia, e le sue condizioni sono registrate in un diario tenuto dal pastore Johann Friedrich Oberlin, che lo ospitò a Waldbach. Fu proprio questo diario a fornire a Büchner il materiale per la sua novella. Nella partitura di Rihm aleggia un filo conduttore che, attraverso Lenz e Woyzeck di Büchner giunge a Berg. Non solo in alcune tracce stilistiche, ma anche in analogie simboliche, come nel ruolo di baritono affidato a Lenz, che coincide con quello di Wozzeck nell’opera di Berg.

Da AGP, invece, potete scaricare l’opera in formato FLAC suddivisa in quattro file con note.

Schoenberg è morto

L’opera d’arte è principalmente genesi

scriveva Paul Klee, per il quale l’arte era una metafora della creazione. Egli concepiva l’opera come ‘formazione della forma’, non come risultato. Analogamente, Boulez parlerà dell’opera che “genera ogni volta la sua propria gerarchia”.

Proprio a liberare le possibilità di una generazione funzionale tende Boulez quando individua la serie come il suo nucleo: “Predecessore principalmente prescelto: Webern; oggetto essenziale delle investigazioni nei suoi riguardi: l’organizzazione del materiale sonoro”.

Non sembra dimenticare, ma nemmeno lo ricorda esplicitamente, che fu proprio Webern a parlare di una musica tale per cui “si ha la sensazione di non essere più di fronte a un lavoro dell’uomo, ma della natura”.

Nota bene: Webern, non Schoenberg. Soltanto un anno dopo la morte, infatti, Boulez seppellirà definitivamente Schoenberg denunciando ogni aspetto della sua estetica come retrivo, contraddittorio e contrario alla nuova organizzazione del mondo sonoro da lui stesso ideata:

Dalla penna di Schoenberg abbondano, in effetti, – non senza provocare l’irritazione – , i clichés di scrittura temibilmente stereotipi, rappresentativi, anche qui, del romanticismo più ostentato e più desueto.

Si tratta del famoso articolo, apparso sulla rivista “The Score” nel 1952, pieno del dogmatismo ingenuo che solo un 27nne può esibire, che termina con l’enunciato in lettere maiuscole: SCHOENBERG È MORTO. [da noi è pubblicato in Note di Apprendistato, Einaudi, 1968]. È l’atto finale di condanna dell’incapacità di Schoenberg di adeguare interamente il suo linguaggio compositivo alla novità del metodo dodecafonico e l’indicazione di Webern come l’esempio da seguire.

Pierre Boulez – Strutture per 2 pianoforti Libro I° (1952)

A dimostrare quanto sopra dichiarato a grandi lettere, Boulez scrive il primo libro delle Strutture per 2 pianoforti che costituisce, in pratica, un manifesto dell’estensione del principio seriale a tutti i parametri in uno strutturalismo tanto raffinato quanto totalitario.
Mostreremo, ora, alcune tracce analitiche della prima sezione (Structure I/a), basandoci sullo storico articolo che György Ligeti pubblicò sulla rivista «Die Reihe» (trad: La Serie) nel 1958.

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Le radici del serialismo integrale

Torniamo su Messiaen nel centenario della sua nascita.

Olivier Messiaen non è mai stato un serialista, se non occasionalmente, a titolo sperimentale. Ciò nonostante, una sua composiziona è stata alla base dell’idea di serialismo integrale negli anni ’50.

Messian – Mode de valeurs et d’intensités (1950)

In questo brano, tratto dai “Quattro studi sul ritmo” del 1950, si può ritrovare il primo indizio di organizzazione totale dei parametri di altezza, durata, intensità e modi di attacco. Le idee contenute in questa composizione suscitarono grande interesse in Boulez e Stockhausen, entrambi allievi di Messiaen.
Qui Messiaen non usa delle serie, quindi non si può parlare di serialismo. Si tratta, invece, di modi, cioè di scale da cui il compositore trae liberamente le note senza rispettarne l’ordine.
Il punto è che, in questo brano, ad ogni altezza è associata una durata, un’intensità e un modo di attacco. La figura seguente mostra le tre divisioni del modo adottato nel pezzo. Ogni divisione verrà usata in una voce diversa (cliccare sull’immagine per ingrandire).

Così, per es., in questo pezzo il Mib alto (div. I, nota 1) comparirà sempre come biscroma, ppp, legato alla nota successiva; il Lab con taglio in testa sarà sempre una croma, forte, eseguita in staccato (notare che, essendo staccato, parte della sua durata può essere espressa come pausa, come nella pgina seguente; ciò nonostante, la durata totale sarà sempre una croma), ecc. (anche qui, cliccare sull’immagine per ingrandire)

In quegli anni, l’impressione suscitata da questo brano fu grande. Non a caso, Boulez ne riprese la serie nelle sue Structures per due pianoforti del 1952.

Ma la cosa interessante è che, nel 1986, lo stesso Messiaen ebbe a dire

J’ai été très contrarié de l’importance absolument démesurée que l’on a accordée à une petite oeuvre, qui n’a que trois pages et qui s’appelle “Modes de valeurs et d’intensités”, sous le prétexte qu’elle aurait été à l’origine de l’éclatement sériel dans le domaine des attaques, des durées, des intensités, des timbres, bref, de tous les paramètres musicaux.
Cette musique a peut-être été prophétique, historiquement importante, mais, musicalement, c’est trois fois rien…
[“Olivier Messiaen, musique et couleur” – Nouveaux entretiens avec Claude Samuel – Belfond – 1986]