Sahaf

czernowinSahaf (2008) di Chaya Czernowin, per sax (baritono e sopranino), chitarra elettrica, pianoforte e percussioni, eseguito dall’Ensemble Nikel.

Non ne sono del tutto sicuro, ma Sahaf dovrebbe tradursi come vagare, andare alla deriva.

Trans und so weiter

Questo film, è stato girato nel 1973 da Gérard Patris per la Zweite Deutsche Fernsehen (Seconda Televisione Tedesca) nel corso delle prove e delle esecuzioni di alcune opere di Stockhausen per i Recontres Internationales de Musique Contemporaine di Metz.

Si possono vedere estratti di Trans, Mikrophonie I, Zyklus, Refrain, Kontakte, Am Himmel Wandre Ich, Ceylon con la partecipazione e la direzione dall’autore.

Il film è in tedesco, comunque le parti musicali costituiscono la maggior parte del film e sono interessanti anche per chi non capisce la lingua.

Music for 18 musicians

Una delle non molte composizioni di Steve Reich e di tutta la minimal music che mi piacciono veramente.

Per me, il problema del minimalismo è che si basa su una idea che non ha mai avuto un vero sviluppo. In altre parole, questa musica si basa essenzialmente sulla sovrapposizione di pattern che, nel tempo, possono

  1. cambiare melodicamente, per esempio sostituendo via via le note (Glass) o invertendo note e pause (Reich)
  2. cambiare ritmicamente, introducendo, ogni tanto, una mutazione nelle figurazioni
  3. cambiare timbricamente,  sostituendo gradualmente i gruppi strumentali che eseguono i vari pattern
  4. sfasarsi temporalmente accelerando o rallentando il metro (a volte usando metronomi diversi fin dall’inizio)

Non mi sembra ci siano altri espedienti e a mio avviso, il tutto diventa estremamente prevedibile. Ciò non toglie che, a volte, il risultato possa essere affascinante e coinvolgente, ma non si può continuare per una vita così.

Su Youtube ne trovate molte esecuzioni, fra cui quella dell’Ensemble intercontemporain

Strumenti musicali dai rifiuti

…ma non per sfizio o per una qualche sfida artistica, ma proprio perché questi non possono fare altro.

E non si tratta di strumenti etnici, ma di strumenti della tradizione occidentale che quindi si misurano con il suono di quelli costruiti da fior di liutai. A sentire il violoncello che ha come cassa armonica un bidone, il risultato mi sembra fin troppo buono.

Il video è visibile in qualità migliore qui su Vimeo e qui su You Tube.

RIP Elliott Carter

When a composer leaves us at 103 years old, continuing to work until a few months before his death (his last composition is dated 2012), after having composed for more than 80 years (the first commonly remembered piece, a lieder, is from 1928 and it’s definitely not the first) there’s no need to be sad. I’m sure that almost all of us would sign.

Elliott Carter (1908 – 2012) was the last of the great Cs of American music of the 20th century, the others being Aaron Copland (1900 – 1990), Henry Cowell (1897 – 1965) and John Cage (1912 – 1992), contemporaries and all very important in the panorama of 20th century music.

Carter, in his long career, was capable of renewing himself. After an initial neoclassical phase, influenced by Stravinsky, Harris, Copland, and Hindemith, he turned to atonality in the 1950s, although without ever embracing serialism. Instead, he independently developed a compositional technique based on the cataloging of all possible groups of pitches, i.e. chords of 3 notes, 4 notes, 5 notes, 6 notes, etc., then basing his own compositions on these sets. . For example, the Piano Concerto of 1964-65 derives its pitches from the set of 3-note chords, the 1971 Quartet is built on 4-note chords, the Symphony of Three Orchestras, which we listen to here, is based on chords of 6 notes and so on. Typically, each instrumental section is assigned a set of pitches in a layering of material.

In Carter, the concept of stratification also informs the management of rhythm: each instrumental voice has its own set of tempos, thus creating a structural polyrhythm.

The title of this piece from 1976, Symphony of Three Orchestras and not for Three Orchestras, derives precisely from the fact that, although the piece is divided into 4 movements of different character, as is tradition, each movement is made up of three partially overlapping movements, one for each orchestra.

Furthermore, the instrumental composition of the three orchestras is strongly differentiated: in practice it is a single orchestra divided into three groups. The first is made up of brass, strings and timpani; the second by clarinets, piano, vibraphone, chimes, marimba, first violins, double basses and cellos; the third by flutes, oboes, bassoons, horns, second violins, violas, double basses and untuned percussion.

Boulez conducts the New York Philharmonic.

Solitude-Sérénade

Claus-Steffen Mahnkopf (1962), compositore tedesco, è generalmente associato con il movimento della Nuova Complessità, il cui esponente principale è Brian Ferneyhough, con cui Mahnkopf ha studiato.

Le sue opere sono fortemente legate al linguaggio dell’avanguardia, tanto da teorizzare la nascita di una seconda scuola di Darmstadt, ma la sua musica affonda le proprie radici nella tradizione germanica, fino a Berg e Beethoven.

Solitude-Sérénade, del 1997, per piccolo oboe e Ensemble (2 Vla., Cb., Gtar., Hp., Perc), è la rielaborazione di un precedente brano solistico: Solitude-Nocturne del 1993 (Solitude si riferisce al Castello Solitude vicino a Stoccarda).

RIP Lol Coxhill

Qualche giorno fa, il 10, se ne è andato Lol Coxhill. Io ero impegnato in un corso estivo in un luogo ameno fuori dal mondo e anche dalla rete, per cui ne scrivo solo adesso.

Coxhill era un sassofonista che mi piaceva perché la sua musica non aveva confini. Sebbene fosse fondamentalmente un improvvisatore di stampo jazzistico, nella sua sterminata discografia ha attraversato vari stili passando e spesso mescolando free jazz, bebop, ma anche musica contemporanea “colta”, free music, elettronica (con Simon Emmerson), rock e punk, Canterbury scene, progressive e blues.

L’album Digswell Duets del 1978, accreditato a Coxhill, Simon Emmerson e Veryan Weston, è stato inserito dalla rivista britannica The Wire nella lista dei 100 album che hanno incendiato il mondo (quando nessuno li ascoltava) (qui l’intera lista).

With Kou Katsuyoshi (guitar), John Edwards (bass), Steve Noble (drums) at Cafe Oto London. 23 November 2009.

Turner (drum set), Coxhill (soprano sax) and Cooper (electronics) play at the Red Rose, London. 6th February 2007.

Max Eastley (self-made instrument – arc), Steve Beresford (electronics), Lol Coxhill (soprano sax) at Battersea Arts Centre week of free improvised music curated by Adam Bohman. 20th February 2010.

Metropolis

Michael Daugherty (n. 28/04/1954) è probabilmente il più interessante fra quei compositori che, memori della lezione post-moderna, includono nelle proprie composizioni diversi stili con citazioni tratte dal pop, dal jazz, come dai classici sia dell’800 che del primo ‘900.

Mi rendo conto che, detta così, fa pensare a una zuppa infame, ma invece Daugherty è un compositore molto preparato, nonché fine orchestratore e anche alle mie orecchie, che pure non amano più di tanto simili commistioni, riesce a risultare, tutto sommato, piacevole.

In realtà Daugherty è attualmente uno dei più eseguiti, commissionati e premiati compositori americani, sicuramente anche perché i suoi brani sono ascoltabili anche da un pubblico più vasto della ristretta cerchia amante della sperimentazione.

Sebbene, a mio avviso, la sua produzione migliore non sia quella orchestrale, qui vi propongo un movimento di Metropolis (1988-93), opera sinfonica in 5 movimenti (eseguibili anche separatamente), dove il riferimento culturale del titolo non è Fritz Lang, ma Superman. Metropolis è, infatti, la città in cui era ambientato il famoso fumetto.

I titoli dei movimenti sono

  1. Lex (1991)
  2. Krypton (1993)
  3. MXYZPTLK (1988)
  4. Oh, Lois (1989)
  5. Red Cape Tango (1993)

L’ultima incisione, diretta da Giancarlo Guerrero con la Nashville Symphony Orchestra è stata fra le nomination in sei categorie ai Grammy Awards del 2011 e ha portato a casa i premi per Best Orchestral Performance, Best Engineered Album e Best Classical Contemporary Composition.

Proprio da questa incisione e grazie a You tube, vi propongo il quinto movimento. Occhio (orecchio) alle citazioni. Una può essere tratta perfino dai Deep Purple (anche se quei tre accordi possono essere qualsiasi cosa, ma sono così simili anche nel tempo…)

Strumentazione: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto; 4 corni, 4 trombe, 3 tromboni, tuba; timpani, 4 percussioni; piano; archi.

Nel video qui sotto troviamo tutta Metropolis (basta iniziare da zero).

Time stretch (on Gesualdo)

Nonostante il nome, Bruno Mantovani è un giovane compositore francese (nato nel ’74). Qui vi propongo Time stretch (on Gesualdo), una composizione per orchestra del 2006.

Nota del compositore:

Time stretch (on Gesualdo) ha come punto di partenza uno dei madrigali del 5° libro del compositore italiano, “S’io non miro non moro”.
Ho estratto da questo breve brano per 5 voci un quadro armonico di 130 accordi che ho rielaborato eliminando tutti gli elementi non significativi per l’ascolto (principalmente ottave) e poi ho “stirato” questa griglia sulla durata totale del pezzo per creare un percorso armonico a partire dal quale ho composto.
Se le tensioni dovute al linguaggio cromatico di Gesualdo sono percettibili in questo brano, non si tratta assolutamente di un “pastiche”, di una citazione, ma di un’opera originale dove il riferimento è presente solo in secondo piano.
Indipendentemente dalla struttura armonica, Time stretch rimanda e delle problematiche drammaturgiche sempre presenti in me: la ricerca di una energia costante, i contrasti radicali, le transizioni continue fra episodi conflittuali, ma il discorso è unificato dall’onnipresenza della periodicità ritmica, delle pulsazioni che creano un senso di ordine all’interno di una musica rapsodica.

Schèmes

Un lungo documentario (58′) sulla genesi del concerto per violino e orchestra di Jean Claude Risset denominato Schèmes ed eseguito in prima a Tokyo nel 2007 (Tokyo Symphonic Orchestra, Kazyoshi Akiyama direttore, Mari Kimura violino).