AGP 57

The AGP57 is a transcription of the classic LP “The World of Harry Partch”. The three compositions on this LP are available on CD in other recordings, but these are the recordings that introduced a generation of music lovers to the strange sounds of Harry Partch’s instruments and compositions. Normally, AGP steer clear of compositions that are currently available on CD in other recordings, but a transcription of this long out-of-print LP was specially requested, so here it is. The copy is in excellent condition with only the hiss of the analog recording and very light pressing noise typicaly of an American pressing. The transcription preserves the spacious sound of the original recording.

Format is loseless compression FLAC.

Quarti di tono

ivesDai quarti di tono incidentali di Van Halen, passiamo ai quarti di tono intenzionali di Charles Ives (1874–1954) con questi Three Quarter-Tone Pieces for Two Pianos del 1924 (sono gli anni in cui, in Europa, i Viennesi formalizzano le regole della dodecafonia).

È interessante e anche divertente sapere qualcosa di più sul rapporto tra Ives e la microtonalità e sul modo in cui quest’ultima viene ottenuta in questi pezzi.
Rendere microtonale un pianoforte, in effetti, è un problema. A prima vista, sembra che ci siano solo due modi: o si riaccorda interamente il pianoforte, perdendo, però, metà dell’estensione, oppure si ricorre a uno strumento appositamente costruito.
C’è, però, una terza via ed è quella utilizzata da Ives in questi pezzi: usare due pianoforti uno dei quali è accordato 1/4 di tono più alto dell’altro. Ovviamente i due strumenti devono essere uguali e i due pianisti devono essere molto accurati sia come tempo che come tocco e dinamiche perché il tutto deve suonare come un unico strumento e vi sono accordi e frasi in cui l’uno esegue note complementari all’altro.

I rapporti fra Ives e la microtonalità sono curiosi e risalgono all’infanzia in una famiglia di musicisti. Il padre, però, era anche un appassionato di bricolage. Aveva costruito una specie di arpa fra cui aveva teso 24 o più corde per sperimentare con i quarti di tono. In seguito, come racconta lo stesso Ives, aveva composto alcune canzoni in quarti di tono e cercava di convincere la famiglia a cantarle, tentativo rapidamente abbandonato per essere ripreso solo come forma di punizione.
Ciò nonostante, al piccolo Charles, alcune di queste canzoni, quelle che erano temperate e usavano i microtoni solo come note di passaggio, piacevano.

Ives ricorda anche il padre aveva l’orecchio assoluto, ma lo considerava una cosa disturbante e quasi vergognosa, affermando che “tutto è relativo; solo i pazzi e le tasse sono assoluti”. E ad un amico, diplomato al conservatorio di Boston, che gli chiedeva come mai, nonostante il suo orecchio, insistesse nel produrre dissonanze al piano, rispose “Io avrò anche l’orecchio assoluto, ma, grazie a Dio, il piano non ce l’ha”.

L’influenza del padre spiega anche l’atteggiamento di Charles Ives nei confronti della tonalità: “Non vedo perché la tonalità, come tale, debba essere eliminata, così come non vedo perché debba sempre essere presente”.
Così, mentre in Europa si preparava un conflitto ideologico atonale contro tonale, in America si assestavano i fondamenti di quell’atteggiamento neutrale che avrebbe prodotto gente come Cage, Feldman, Wolff e molti altri, estendendo la sua influenza fino al presente.

In questo brano, il primo e il terzo movimento erano stati concepiti per un unico pianoforte con due tastiere. Un ordigno del genere era stato effettivamente costruito in via sperimentale e in pratica, era costituito da due arpe, due meccaniche e due tastiere sovrapposte, incluse nello stesso box. Questi due movimenti sono basati su una serie di accordi, quasi nello stile di un inno, che all’inizio lasciano all’orecchio il tempo di assorbire le stranezze prodotte dai quarti di tono. Si nota in modo particolare nel I° mov. che presenta all’ascoltatore il materiale sonoro in modo graduale, quasi didattico. Ciò non toglie che, alle nostre orecchie educate al sistema temperato, l’insieme dia spesso l’impressione di un pianoforte scordato.
Su questo tessuto, si dispiega poi una linea cantabile che, nel III° mov., riprende e distorce una canzone popolare (America, my country ’tis of thee), sottolineando il verso “land where my fathers died!”.
L’allegro, invece, è vigoroso e vivace, diviso ritmicamente fra i due pianoforti.

Ecco anche una tesi di Myles Skinner in inglese che discute l’utilizzo della microtonalità nella musica occidentale moderna.

Charles Ives – Three Quarter-Tone Pieces for Two Pianos (1924)
Elizabeth Dorman and Michael Smith, piano

The Tides of Manaunaun

La prima composizione per pianoforte con massiccia presenza di cluster.

Henry Cowell (1897-1965) – The Tides of Manaunaun (c. 1912) – Sorrel Hays, piano

The Tides of Manaunaun was written as a prelude to an opera based on Irish mythology. In Irish mythology, Manaunaun was the god of motion and of the waves of the sea; and according to the mythology, at the time when the universe was being built, Manaunaun swayed all of the materials out of which the universe was being built with fine particles which were distributed everywhere through cosmos. And he kept these moving in rhythmical tides so that they should remain fresh when the time came for their use in the building of the universe.
[Henry Cowell]

Harry Partch: Castor & Pollux

Castor & Pollux (1952) è un balletto strutturato in due grandi sezioni, la prima intitolata Castor e la seconda Pollux (i due dioscuri, figli di Zeus e di Leda, identificati con la costellazione dei Gemelli).
La strumentazione è quella tipica dei lavori di Partch, progettata e costruita da lui stesso e accordata sulla scala naturale. Qui abbiamo: kithara, surrogate kithara, harmonic canon, diamond marimba, cloud chamber bowls & bass marimba. Tutti gli strumenti si possono vedere e ascoltare qui.
Proprio la strumentazione caratterizza le due sezioni. Ognuna di esse, infatti, è divisa in quattro parti: tre duetti e un tutti. In entrambe le sezioni, i duetti sono intitolati:

  1. Leda and the Swan (insemination)
  2. Conception
  3. Incubation
  4. Il tutti finale si intitola Chorus of Delivery From the Egg.

Gli strumenti utilizzati in ogni sotto-sezione sono:

CASTOR
1. Leda and the Swan (Kithara II, Surrogate Kithara, and Cloud-Chamber Bowls)
2. Conception (Harmonic Canon II and High Bass Marimba)
3. lncubation (Diamond Marimba and Low Bass Marimba)
4. Chorus of Delivery From the Egg (All the foregoing instruments)

POLLUX
1. Leda and the Swan (Kithara II. Surrogate Kithara, and Low Bass Marimba)
2. Conception (Harmonic Canon II and Cloud-Chamber Bowls)
3. lncubation (Diamond Marimba and High Bass Marimba)
4. Chorus of Delivery From,the Egg (All the foregoing instruments)

CASTOR & POLLUX is a dance-theater work with a beguiling program. It is structured in two large sections, each section comprised of three duets and a tutti. The first section is entitled CASTOR, the second, POLLUX. The first duet of each section is titled Leda and the Swan (insemination); the second, Conception; the third, Incubation; and the tutti. Chorus of Delivery From the Egg. By its contrapuntal texture. CASTOR & POLLUX shows well the melodic capabilities of the instruments, and the two tutti section grand finales to the glory of birth.

Dalle 6 alle 7: L’isle joyeuse

oana

Continuing posting pieces from the concerts at Conservatorium E.F. Dall’Abaco here in Verona, Italy.

Debussy’s L’îsle joyeuse (1903-1904) was inspired by Watteau’s painting Embarkation for Cythere. Debussy’s work is a single movement in a highly modified sonata form. Using a technique similar to Chopin’s alteration of sonata form in his ballades, the lyrical second subject returns at the brilliant conclusion as a fortissimo paean. L’îsle joyeuse has an almost orchestral quality, as well as an unrelenting choreographic rhythmic drive. The cumulative effect is perfectly calculated and overwhelmingly successful. A number of hallmarks of Debussy’s mature style — parallel sonorities, whole-tone structures, multiple layers of sound, atmospheric effects, melodic fragmentation — are in full evidence.
A short analysis of this work is here.

Continuano gli estratti dalla rassegna “Dalle 6 alle 7” che si tiene presso il Conservatorio E.F. Dall’Abaco tutti i martedì.
Dal concerto dedicato all’impressionismo, L’isle joyeuse di Claude Debussy, composta nel 1904.

Pare che l’idea per questo brano fosse suggerita da un quadro del pittore settecentesco Watteau, raffigurante L’imbarco per l’isola di Citera e che inizialmente questo pezzo dovesse concludere un’ipotetica seconda Suite Bergamasque. Ma nello stesso tempo, l’isola gioiosa è forse anche l’isola di Jersey nella Manica, rifugio in cui il compositore passò l’estate del 1904 in compagnia dell’amante Emma Bardac.

In questo brano Debussy alterna le atmosfere create dalla scala a toni interi costruita sul LA, con quelle della tonalità di LA Maggiore usando il modo lidio come mediatore. Una breve analisi è reperibile qui.

Claude Debussy – L’isle joyeuse (1904) – Oana Dancescu, pianoforte

È possibile esaminare il manoscritto autografo della partitura, conservato presso la Bibliothèque nationale de France.

Dalle 6 alle 7: Jeux d’eau

xavier

I begin posting some pieces from the concerts at Conservatorium E.F. Dall’Abaco here in Verona, Italy.
Jeux d’eau is a piece for solo piano by the French Impressionistic composer, Maurice Ravel. The title often translates to “Fountains”, “Water Games”, and “Playing water”. The piece, a virtuosic tone-poem, is inspired by Franz Liszt (Jeux d’eau a la Villa d’Este), and also as Ravel explained:

Jeux d’eau, appearing in 1901, is at the origin of the pianistic novelities which one would notice in my work. This piece, inspired by the noise of water and by the musical sounds which make one hear the sprays water, the cascades, and the brooks, is based on to motives in the manner of the movement of a sonata—without, however, subjecting itself to the classical tonal plan.

This work is considered one of the first examples of “musical impressionism” among Ravel’s compositions. At the time of writing this work, Ravel was a student under Gabriel Fauré to whom it is dedicated. Ricardo Viñes was the first to publicly perform the work in 1902, although it had been privately performed for the Apaches previously. Written on the manuscript by Ravel, and often included on published editions, is “Dieu fluvial riant de l’eau qui le chatouille… / Henri de Régnier” which in English editions is translated to “River god laughing as the water tickles him…”; this quote is from Régnier’s Fête d’eau as a note that the piece is to be played lightly. To one performer who played the piece too slowly, Ravel said her waterfalls sounded sad.

Iniziamo a pubblicare qualche estratto dai concerti della rassegna “Dalle 6 alle 7” che si tiene presso il Conservatorio E.F. Dall’Abaco tutti i martedì.
Dato l’indirizzo contemporaneo di questo blog, qui ci limitiamo ai brani del ‘900.

Il titolo di questo brano di Ravel, Jeux d’eau (1901), va interpretato non solo come “giochi d’acqua”, ma anche come “acqua che gioca” come evidenzia questa frase tratta dal poeta simbolista Henri de Régnier, trovata scritta a mano sul manoscritto e spesso riportata anche nell’edizione stampata: “Dio fluviale che ride mentre l’acqua gli fa il solletico…”.
Come scrive Ravel, il brano “è ispirato al rumore dell’acqua e ai suoni musicali suggeriti da spruzzi, cascate e ruscelli”. È evidente anche il debito verso i “Jeux d’eau à la Villa d’Este” di Listz.

Maurice Ravel – Jeux d’eau – Xavier Locus, pianoforte.

Free Schoenberg

logo

Now we can legally listen to many works by Arnold Schönberg from the composer’s site where this Jukebox is freely available.
Audio quality is good (ADSL/ISDN needed). The only problem is that I can’t find the player’s names.

Le opere di Arnold Schönberg si possono ascoltare liberamente (e legalmente) in streaming audio dal sito dell’Arnold Schönberg Center in cui è stato realizzato questo bel Jukebox che funziona con tutti i principali players e sistemi.
Nonostante sia in streaming, l’audio è di buona qualità (almeno in quello che ho ascoltato), per cui una connessione veloce (ADSL o ISDN) è necessaria.
Stranamente, invece, data la serietà del sito, non vedo citati gli esecutori.

La Kammersymphonie op9 (1906) e’ una tappa fondamentale nella produzione di Schoenberg. Quest’opera,che comunque utilizza un linguaggio ancora tonale (la composizione e’ in Mi Maggiore) si dimostra comunque innovativa sia nella forma,sia in alcuni procedimenti armonici,sia nella strumentazione. Pur rimanendo fedele alla tonalità,questa composizione porta spesso il sistema tonale ai suoi limiti estremi,in particolare per l’uso degli accordi formati da quarte sovrapposte. Il termine Sinfonia generalmente veniva usato solo per brani di grosse dimensioni (e tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 queste composizioni spesso richiedevano l’uso di orchestre gigantesche; per esempio Mahler, Bruckner e R.Strauss). Invece Schoenberg utilizza il termine Sinfonia per un opera della durata di circa 20 minuti con un organico cameristico di 15 strumenti solisti, formato da quintetto d’archi,legni e due corni(in seguito l’autore ne realizzerà anche una versione per orchestra). Schoenberg dopo aver terminato questa composizione,inizierà a scrivere anche una seconda Kammersymphonie (op.38) che pero’ terminerà solo molti anni dopo in America (negli anni ’40).
[tratto da armoniamusicale.com dove trovate l’analisi completa]

Arnold Schönberg – Chamber symphony for fifteen solo instruments op.9

Alban Berg

berg

December 24, after completing his concert for violin, Alban Berg died. He was a great promoter of Schoenberg’s twelve tone technique of which he made a highly personal adaptation that enabled him to combine frank atonality with more traditionally tonal passages and harmonies.
His Piano Sonata op.1 is one of the most formidable initial works ever written by any composer. It is a striking example of the developing variation technique — the whole composition can be derived from the opening quartal gesture and from the opening phrase.

Alban Berg – Sonata per pianoforte op.1 (1908) – Erik Wickström pianoforte

Pierrot

Schönberg – Pierrot Lunaire op. 21 (1912)
per voce, pianoforte, flauto (ottavino), clarinetto (clarinetto basso), violino (viola), violoncello.

Composta nel 1912 è forse l’opera più famosa di Schoenberg, per la novità degli impasti timbrici, per la sua carica espressiva, per la sua particolare tecnica vocale.
Basandosi su 21 poesie del simbolista belga Albert Giraud (1884), nella traduzione tedesca di Otto Eric Hartleben, divise in 3 gruppi di 7, l’immagine romantica di Pierrot, eroe malinconico e triste, è deformata in smorfie, proiettata in immagini ora grottesche, ora ironiche, in visioni allucinate, grazie alla vocalità estraniata dello sprechgesang e alle straordinarie invenzioni strumentali che lo accompagnano.
In quest’opera, la voce utilizza per la prima volta la tecnica dello Sprechgesang (o Sprechstimme), che non è né canto intonato, né “recitar cantando”. Nella prefazione alla partitura, che farà testo, il compositore fissa rigorosamente le norme dell’interpretazione. La voce deve osservare rigorosamente la notazione ritmica portando la parola a toccare la nota, ma mai a fissarla, facendo oscillare l’intonazione in un continuo crescendo e diminuendo e collegandosi con un sensibile portamento alla sillaba seguente
L’orchestrazione è la più varia e rutilante di invenzioni. Soltanto in 6 dei 21 brani il gruppo strumentale entra al completo a creare un complesso tessuto polifonico intorno alla voce, mentre negli altri gli strumenti intervengono a gruppi di 2, 3 o 4 e nel settimo pezzo, La luna malata, è un flauto solo che contrappunta la voce.
Dal punto di vista compositivo, Schoenberg sperimenta con grande libertà e varietà. Alcuni pezzi (per es. il No 13) hanno una continuità amorfa, quasi un stream of consciousness. Altri, come il No 8, si basano su piccole cellule generative. Altri ancora impiegano ostinati, altri, canoni.
Il brano No 18, Der Mondfleck, esibisce una polifonia incredibilmente intricata. E’ quasi una fuga a tre voci, la cui forma è a tratti oscurata dall’incrociarsi di altre parti e da occasionali note supplementari. Il clarinetto e l’ottavino formano canoni in diminuzione rispetto alle prime due voci. Un terzo canone, indipendente dagli altri è creato da violino e violoncello. A metà del brano, l’ottavino e il clarinetto, che procedono a velocità doppia rispetto alla voce principale, arrivano alla fine del canone e quindi invertono il loro moto formando canoni retrogradi in diminuzione.
Il disegno polifonico, caratterizzato soprattutto da intervalli di 7a e 9a, dà vita a complessi e sottili rapporti cromatici creando un’atmosfera tagliente che ben si lega alle immagini allucinate del testo tedesco di Hartleben, ben superiore all’originale un po’ dolciastro ed estetizzante di Giraud.

Clicca l’immagine per ingrandire.
Ascolta Der Mondfleck

partitura