NB: il 2014 era 10 anni fa, comunque alcuni si trovano ancora
2014 perché esiste un post con lo stesso titolo del 2007 ed esiste anche una volpe che, avendolo letto nel 2010, si è lamentata per la qualità dell’informazione (molti link erano scomparsi).
Quindi, questo è un upgrade improntato al consumismo più inutile e skifoso, per una volta con un po’ di kattiveria.
La prima cosa notevole è questa: do it yourself guitar, ovvero una chitarra elettrica in scatola di montaggio. Purtroppo non è difficile: è indicata per beginners (con i pick-up già inseriti sono capaci tutti). L’unica cosa imho un po’ complessa è fissare il manico dritto. Ne esistono di varie forme, tipo Fender o Les Paul. Prezzo da 70 a 100 sterline. Nella speranza che li impegni per un bel po’ di tempo.
Altra cosa interessante è il Guitar Pick Punch, ovvero una macchinetta tipo pinza che consente di ricavare un plettro da qualsiasi superficie plasticosa e abbastanza rigida. $ 20 o € 21.25 da uncommon goods. Ma poi non fateli entrare a casa vostra.
Per i rappers bambini (ma anche no; in fondo i rappers sono sempre un po’ bambini affetti da parafrenia sistematica) abbiamo il Gangsta Rap Coloring Book. 48 pagine di disegni da colorare in stile outlaw image. Solo $ 8.95 da Amazon. Magari così stanno zitti per un po’.
Per i batteristi è d’obbligo il Drum Set Alarm Clock, una sveglia con batteria che li farà alzare con un solo in 50’s style rock song. $ 45.90. Giusta vendetta per quello che ci hanno fatto subire.
Per i chitarristi più fanatici c’è il Jammin Johns Electric Guitar Toilet Seat, in raffinatissima colorazione sunburst. Un po’ caro ($ 179), ma ne vale la pena. Per molti di loro, è il luogo dove dovrebbero stare (rende meglio la bella espressione inglese “where they belong”).
Per tutti gli elettrici e i tecnici audio, il 6-in-1 Cable Tester, una scatoletta in grado di testare la funzionalità di qualsiasi cavo jack, xlr, rca o cannon. $ 83.15. Molto utile. Forse il testare tutti i loro cavi li terrà lontani per un tot.
Infine, per i musicisti amanti del bere (quasi tutti quelli che conosco) posso consigliare i Major Scale Musical Wine Glasses, due bicchieri graduati sulla scala maggiore di LA, da riempire fino al segno corrispondente alla nota desiderata. Magari, una volta ubriachi, dormiranno. Per sempre.
Seebad Prora (Bagno di Prora) è una località balneare progettata e in parte edificata, sull’isola tedesca di Rügen (Mar Baltico) tra il 1935 e il 1939.
Scopo del progetto, concepito dall’organizzazione nazionalsocialista Kraft durch Freude (KdF) era la costruzione di una località balneare che potesse accogliere 20.000 villeggianti.
Dopo l’inizio della seconda guerra mondiale i lavori di costruzione vennero interrotti, oggi ne rimane la parte centrale del progetto complessivo, il cosiddetto colosso di Prora composto da otto edifici identici e affiancati che si estendono lungo la costa per un totale di 4,5 km e che attualmente, benché tutelati in quanto monumento storico, si stanno rapidamente degradando. [wikipedia]
Su uno degli edifici, una mano ignota ha tracciato questa significativa scritta (click to enlarge).
La NASA ha aperto un proprio canale su SoundCloud e la cosa interessante è che i suoni ivi contenuti possono essere utilizzati senza vincoli a scopo educativo o informativo, ma anche a scopo commerciale, a patto che l’ente spaziale non sia coinvolto in nessun modo (ovvero, non puoi, per esempio, farti pubblicità dicendo che il tuo pezzo è fatto con suoni NASA; if the NASA material is to be used for commercial purposes, especially including advertisements, it must not explicitly or implicitly convey NASA’s endorsement of commercial goods or services;vedi qui).
Il contenuto è vario. Si va dagli annunci storici (“Houston, we’ve had a problem” o “The Eagle has landed“) fino a suoni di razzi, beep dei satelliti, emissioni radio registrate nei dintorni dei pianeti e convertite in audio.
Quello che segue è solo un estratto. Buon ascolto.
Quando ho scritto questo post, nel 2010 con il titolo di Aidoru (Idol nella translitterazione inglese → giapponese), pensavo che Hatsune Miko sarebbe durata solo qualche anno, sostituita da qualche altro idolo in ologramma, invece è ancora lì, alive & kicking, e soprattutto per niente invecchiata 😛
Qui lo ripropongo e aggiungo qualche considerazione.
Canta, danza (o perlomeno si muove a tempo), è il più recente idolo dei teenager giapponesi ed è virtuale. Hatsune Miko (初音ミク) ha un vero pubblico, una vera band, ma è, apparentemente, un ologramma. In realtà si tratta di una proiezione 2D su uno schermo trasparente.
La sua voce è sintetizzata tramite il software Vocaloid Yamaha. In effetti Hatsune Miko è il secondo personaggio vocale completo messo a punto per Vocaloid (il primo rilasciato in Giappone) nel 2007 e il suo nome unisce primo (初, hatsu), suono (音, ne) e futuro (Miku ミク). La voce è quella dell’attrice Fujita Saki (藤田 咲) che si è prestata a registrare centinaia di fonemi giapponesi con una intonazione controllata.
Il fenomeno di Hatsune Miko non è il primo di questo genere. Segue la grande notorietà di Kyoko Date (DK-96) che è stato il primo net-idol, nel 1997. Il fenomeno delle star in Giappone risale ai primi anni ’70 e riflette il boom giapponese della cantante francese Sylvie Vartan con il film Cherchez l’idole (1963, in Giappone nel 1964).
Lo sviluppo degli idoli giapponesi è molto interessante.
Negli anni ’70 gli idoli avevano un’aura quasi mistica. Soltanto la parte pubblica della loro vita era nota ed era sempre perfetta e sapientemente orchestrata e la loro personalità visibile era falsa e accuratamente costruita. Nulla si sapeva della loro vita privata, se non alcune notizie essenziali (tipo, un matrimonio) e quello che traspariva del loro privato era altrettanto costruito. Le loro condizioni di lavoro erano pessime: erano strettamente controllati e guadagnavano decisamente poco, perché la maggior parte del denaro andava nelle tasche dei loro produttori, ossia quelli che li creavano.
Negli anni ’80 la condizione degli idoli cominciò ad avvicinarsi a quella della gente comune, in parte perché le condizioni di vita in Giappone erano notevolmente migliorate, ma anche perché il controllo si era leggermente allentato e si permetteva loro di mostrare un po’ della loro personalità. Le major, infatti, iniziavano a sperimentare la competizione fra varie star e quindi alcune differenze dovevano emergere. Un po’ come Beatles e Rolling Stones: questi ultimi apparivano un po’ più selvaggi dei primi e probabilmente lo erano davvero.
Iniziarono anche a guadagnare un po’ di più, ma sempre poco, se paragonato al giro d’affari che creavano.
Gli anni ’90 videro molti cambiamenti. Invece di essere dipinti come delle persone superiori, gli idoli divennero gente comune che aveva solo qualcosa in più (un X-Factor?). In qualche situazione potevano anche essere tristi, un po’ fuori forma e ammettere di aspettare i saldi per comprare i vestiti. Nello stesso tempo, il loro ciclo di vita come idoli divenne più rapido.
Ma il grande salto avvenne quando, vedendo il grande successo dei personaggi di anime e videogames (es. Lara Croft), le major iniziarono a lavorare su personaggi virtuali. L’idea nacque dalla constatazione che il contatto fra i fans e le star era sempre mediato da qualcosa (internet, TV, film, stampa). Non si incontra una star della musica o del cinema per caso in un centro commerciale o al ristorante. E in realtà lo star system non vende una persona, bensì una immagine totalmente idealizzata. La maggior parte dei fans non ha mai visto il proprio idolo in carne ed ossa, ma solo attraverso i media. Una parte riesce a vederlo, da lontano, in qualche concerto o mentre entra in un hotel ed è tutto. Una sparuta minoranza riesce a toccarlo facendosi fare un autografo dopo un lungo appostamento davanti alla sua casa, ma è una quantità trascurabile.
Quello che lo star system giapponese ha capito è che, se le cose stanno così, non è necessario che la star sia una persona vera. Può essere benissimo un personaggio virtuale. Per i fans non cambia proprio niente. E, si noti, alla base di questa idea non ci sono considerazioni economiche. Se è vero che le star virtuali non devono essere pagate, è anche vero che, al loro posto, bisogna pagare dei team di design e animazione che possono costare anche di più. Il punto è che un personaggio virtuale è totalmente controllabile e non pone problemi. Non ha comportamenti censurabili, a meno che non lo si voglia. Non è mai di pessimo umore, non si monta la testa, può lavorare sempre ed essere in TV anche la mattina dopo un concerto, fresco come una rosa.
Considerate, infine, che le star virtuali che sono state create non sono certo attori di teatro avvezzi a confrontarsi con le tragedie shakespeariane e nemmeno musicisti classici, ma, tipicamente, si tratta di cantanti con target adolescenziale. Hanno, al massimo, la profondità concettuale di un Justin Bieber.
Qui vediamo Hatsune Miku insieme a Megurine Luka (ルカ 巡音). Il cognome di quest’ultima combina la parola “Meguri” (巡, “intorno”) e “Ne” (音, “suono”), mentre il nome Luka evoca le omofone parole giapponesi “nagare” (流, “flusso”) e “ka” (歌, “canzone”) o “ka” (香, “profumo”. Il risultato dell’unione di queste parole può quindi essere “flusso di canzoni che si diffondono come profumo”) [da wikipedia con correzioni mie].
Megurine Luka è un passo avanti rispetto a Hatsune Miku. Infatti altro non è che l’incarnazione del terzo applicativo di Vocaloid, lanciato nel 2009 insieme al personaggio che lo rappresenta.
Questa tendenza giapponese ad “incarnare” i software fin dal momento del lancio è unica nel panorama mondiale. In occidente, infatti, l’eventuale incarnazione arriva dopo, quando il software, tipicamente un gioco, ha già raggiunto un successo planetario e allora il personaggio diventa vero, impersonato da un attore/attrice, non virtuale (il caso più emblematico è proprio quello di Lara Croft).
Holly Herndon (born Tennessee, 1980s) is an American composer, musician, and sound artist based in San Francisco, California. She has released two albums on the record label RVNG Intl. She often uses the visual programming language Max/MSP to create custom instruments and vocal processes, and has collaborated with artists such as Reza Negarestani. Her 2014 single “Chorus” was named Best New Track by Pitchfork, who stated “few artists have managed to meld the dark thump of techno with the intricate constructions of post-minimalist new music quite like Holly Herndon”.
[wikipedia]
Tutto sommato, mi sembra partire da certe performance vocali di Laurie Anderson, quelle più legate alla canzone piuttosto che al teatro, tipo O’ Superman, per intendersi.
Il progetto Radio Aporee ::: Mappe Sonore Collettive nasce nel 2006 con l’intento di sviluppare una cartografia sonora con geolocazione di suoni provenienti da vari ambienti, da quelli più o meno urbanizzati fino alla natura.
La mappa è qui. All’inizio si apre su un suono (cerchio rosso). Zoomate all’indietro fino a vedere altri cerchi rossi che indicano la locazione di altri suoni (vedi immagine sotto).
È possibile aggiungere altri suoni alla mappa cliccando sulla locazione dove si vuole piazzare il suono.
SoundCloud published a commemorative post for the 25th anniversary of the fall of the Berlin Wall.
From a musical point of view it is not particularly significant (it is a collage of sounds and quotes), but that was probably not the purpose. The post, however, has some interesting elements from a formal point of view. First of all the duration: 7 minutes and 32 seconds is the time taken by the sound to travel the 155 km of the length of the wall. Then the comments, which are 107, each with the name of a person who died trying to cross the wall (there should be 120, perhaps some are collective).
Marking the 25th anniversary of the fall of the Berlin Wall.
The Berlin Wall of Sound is an acoustic reconstruction of the Berlin Wall.
Its duration of 7:32 minutes reflects the time sound needs to travel the 155 kilometres length of the Berlin Wall. Its sound wave’s shape mirrors the wall of concrete and its watchtowers. There are no comments – the tags depict the victims and mark where they were killed.
The Wall of Sound is not easy to bear. But 27 years locked behind the concrete Berlin Wall were unbearable.
Back in 1989, SoundCloud’s headquarters would have been part of the Death Zone next to the Berlin Wall. We dedicate the Wall of Sound to the 120 women, men and children, who lost their lives in their attempt to live in freedom. We will not forget.
Major original quotes used:
Walter Ulbricht (former leader of the GDR and responsible for the construction) saying a few days before the construction started: „Nobody has the intention to raise a wall“
Heinz Hoffmann (former GDR secretary of defense): „To those, who don’t respect our border – they will feel the bullet.“
Erich Honecker (longtime and most powerful leader of the GDR) celebrating 40 Years of the GDR in 1989: „The German Democratic Republic will exist another 40 years and beyond.“
Generative Gestaltung è un simpatico sito di codice Processing che offre accesso diretto al codice di tutti gli esempi. In realtà gli esempi sono parte di un libro (Generative Design) acquistabile sul sito, comunque, anche da soli, possono dare spunti interessanti.
Il Requiem elettroacustico di Michel Chion è del 1973 (non 1993 come riporta erroneamente il video su You Tube qui sotto).
Quando l’ho ascoltato (sarà stato il 1977/78), mi ha fatto una notevole impressione. È un lavoro che ridefinisce completamente i canoni della musica concreta francese. Li supera con l’uso massiccio di sonorità puramente elettroniche a cui sono accostati suoni naturali, loop concreti e frammenti musicali, spesso trattati elettronicamente in modo evidente, ma soprattutto voci recitanti con modalità fra loro diverse: intense, sussurrate, urlanti, lontane, in coro, fino a una voce di bambino che legge, con qualche esitazione, una parte del testo.
È un’opera drammatica e intensa, emozionale, che va molto al di là del puro esercizio compositivo.
Note dell’autore:
The Form of this music was not meant as an excuse to deploy refined geometry over a time frame seen as space. And if Requiem as a whole is built on a system of echoes and correspondences that seem to be symmetrically organized (see graphism) around an axis represented by the work’s middle point, it is not my fault. The form was developed in the course of the process, as a dramatic scheme that played off the listener’s memory and premonitions, since once the listener has heard the work more than once, they can predict as well as recall. The musical analysis I came to perform, and of which I am disclosing a few pieces here, I did long after composing the work and for my own enjoyment. It should be understood as a game, not as the Key of Dreams, and it is surely not essential.
Echoes and correspondences of what ? Themes, musical motives, ranging from the most elemental (a loop, raw matter) to the most elaborated (a musical development), and which are reprised, quoted or announced at various moments of the work – some are easily identifiable as “leitmotivs” (theme-chorus from the Dies Irae quoted in the finale), while others are accompanying motives, matter that does not need to be memorized at a conscious level. An extreme case of such echo effect is found in the short movements 2 & 9, which use almost the same “music” cast under completely opposite sound lighting.
The centre of the work, the axis of that symmetry, is the 6th movement (Evangile), where happens a symbolical tear in the magnetic tape, a crack in the work itself, opening in the timeline a breach of eternity that lets us glimpse “something else.” This figure illustrates that breach as a sawtooh line, while the vertical line illustrates the pasted point, the moment (at the beginning of Sanctus) when the mass itself, like a broken reel of film at the cinema show, resumes. Within this large form in two parts, we find the small forms of each movement: forms with choruses and episodes, litanies, recitativo, levelled crescendos, etc. There is also another formal course delineated by the succession of several vocal characters, their timbre, intonation, and relation to the libretto. Without giving more details, it is worth mentioning that the only time a well-assured, peremptory voice is clearly heard is, once again, at that central moment in Evangile (“il va ressusciter” or “he will rise”), where its irruption seems to spread panic throughout the whole system and provoke the breach…
Like the great requiems of the classical era, this Requiem’s text is taken from the Funeral Mass, to which are added an Epistle, a Gospel and a Pater Noster. The texts are mostly said in their original language (Latin or Greek) and in French, in some rare cases.
The Requiem was composed whilst thinking about the troubled minority of the living, rather than the silent majority of the dead. Also, I tried to turn this oratorio into a “great sonic show,” cinemascope music. One can detect the obvious (at least to me) influence of a few filmmakers and films, more in the way of playing with forms, time and space, than through realistic evocations. Thomas Mann’s Docteur Faustus was another influence, again acknowledged after the fact; the pages spent describing the imaginary works of Adrian Leverkühn might have inspired the megalomaniac dream of carrying bits and pieces of them into the sound world. With Requiem, my intention was not to deliver a message or a manifesto, whether pro- or anti-religious. Instead, this work is a personal testimony, into which listeners are invited to project their own self, if they care to inhabit it with their own experience and sensibility.