Libri censurati

Oggi è terminata la Banned Books Week (BBW), una settimana in cui, negli USA, si ricorda che la censura sui libri è esistita ed esiste tuttora.

È stata approntata anche una Google Map che mappa ed elenca 460 tentativi di eliminare dei libri dalle scuole o dalle biblioteche registrati in USA dal 2007 al 2010.

Per l’occasione, l’Internet Archive ha messo in linea 74 libri un tempo banditi. Si va da testi d’autore come l’Ulisse di Joyce o il Mondo Nuovo di Huxley, a libri per bambini come Il Mago di Oz, fino a scritti più discutibili come Mein Kampf. Questo perché la BBW, in pratica, celebra il primo emendamento cioè la libertà di parola, di qualsiasi opinione si tratti.

I testi sono scaricabili in vari formati, dal PDF fino agli eBooks (fra cui Kindle, Daisy, EPUB), tutti in lingua originale.

Musicofilia

Oliver Sacks, MusicofiliaIl libro di Oliver Sacks, Musicofilia (Adelphi Ed., 2008-2009), è una miniera di aneddoti e considerazioni sulle più disparate affezioni che coinvolgono la percezione e l’apprezzamento della musica.

Neurologo e psichiatra, ma anche membro onorario dell’Institute for Music and Neurologic Function, che ha contribuito a fondare, Sacks ha avuto fra i suoi pazienti parecchi musicisti e si è ritrovato a trattare molti casi di distorsione percettiva relativamente poco comuni e decisamente complessi, alcuni dei quali vengono descritti in questo libro.

Così, fra un caso di epilessia musicogena (crisi epilettiche indotte dalla musica che colpiscono un critico: giusta nemesi :mrgreen: ), uno di amusia cocleare (deviazione nella percezione dell’altezza dei suoni che affligge un compositore: idem) e il sorprendente capitolo dedicato a un medico che, dopo essere stato colpito da un fulmine, sviluppa un insaziabile desiderio di ascoltare musica per pianoforte, suonare e perfino comporre, si passano ore piacevoli a riflettere sulla complessità di quel sistema percettivo il cui funzionamento è in massima parte determinato dalla comunicazione bilaterale orecchie -> cervello che alla fine dà vita al fenomeno musicale.

Fenomeno, peraltro, ancora poco indagato e compreso, soprattutto se si confronta con quanto, invece, conosciamo della percezione visiva. Fenomeno che è stato sempre sottovalutato, a partire dallo stesso Darwin che ne era palesemente sconcertato, tanto da scrivere nell’Origine dell’uomo, che

Giacché né il piacere legato alla produzione di note musicali, né la capacità [di produrle] sono facoltà che abbiano il benché minimo utile diretto per l’uomo … devono essere collocate fra le più misteriose di cui egli è dotato.

È una vecchia storia questa dell’inutilità della musica d’ascolto, avvalorata dal fatto che presso molte tribù “primitive” che pure dedicano alla musica varie ore al giorno, il concetto di musica nemmeno esiste (se si chiede a uno di loro che cosa stia facendo, si ottiene una risposta tipo “batto il tamburo per propiziare la caccia”).
Una storia diffusa al punto da contagiare anche uno scrittore e scienziato come Arthur Clarke, visto che perfino gli alieni venuti a salvarci da noi stessi, i Superni de Le Guide del Tramonto, sono del tutto insensibili alla produzione di suoni svincolati da una funzione.
Una credenza che, fortunatamente, viene lentamente demolita da studi come quelli di Steven Mithen, il quale, nel suo Canto degli Antenati (The Singing Neanderthal, di cui abbiamo già parlato), ipotizza che la musica e il linguaggio abbiano un’origine comune e che una caratteristica della mente neandertaliana fosse proprio una combinazione di proto-musica e proto-linguaggio (Mithen chiama questa sorta di linguaggio cantato fatto di significati, ma senza singole parole così come noi le intendiamo, HMMMM che sta per holistic-mimetical-musical-multi-modal).

E tuttavia, se è difficile spiegarne l’origine, non c’è niente di strano al pensiero di produrre qualcosa per puro piacere estetico e/o intellettuale, attività che, peraltro, non è ad esclusivo appannaggio delle civiltà tecnologicamente avanzate. Spesso e giustamente si dice che l’arte si può fare solo quando i bisogni primari (principalmente l’assillo del cibo) sono soddisfatti, sottintendendo che soltanto una civiltà progredita possa permettersela.
Si dimentica, però, che molte delle società cosiddette primitive, se lasciate indisturbate, sono ben integrate nel proprio ambiente e tutt’altro che assillate da problemi vitali. Ricordo di aver letto uno studio dedicato agli aborigeni (di cui purtroppo ora non riesco a ritrovare gli estremi; non sono a casa e mi connetto con una miserabile chiavetta a tempo limitato), in cui si calcolava che ogni membro adulto del villaggio lavorasse (caccia, raccolta, preparazione del cibo, manutenzione varia, etc) fra le 12 e le 18 ore settimanali (l’orario di un insegnante). Il resto del tempo trascorre in attività di svago che comprendono anche il cantare insieme, che da loro è descritto come “raccontare storie” 😎 .

Complessità climatiche (1)

Sto leggendo Collasso (here in english), un libro in cui Jared Diamond (quello di Armi, acciaio e malattie) si interroga sul come le società possano affrontare i periodi di crisi e scegliere se vivere o morire.

Ideale continuazione del precedente Armi, acciaio e malattie, dove erano indagate le cause che hanno portato determinate aree geografiche alla supremazia tecnologica, Collasso analizza invece i motivi che hanno portato, nel passato e nel presente, determinate civiltà a un crollo repentino, dove questo è definito come una diminuzione drastica (spesso tramite conflitti armati) e su una scala temporale ridotta della complessità politica, delle dimensioni della popolazione e della produzione culturale. Diamond si interroga quindi se sia possibile che anche alcune delle società contemporanee, se non l’intera civiltà industriale, stiano andando incontro a un crollo di questo genere, e se e come sia possibile evitarlo.

A lato di questi argomenti, peraltro molto interessanti, a una lettura un po’ attenta il libro offre vari esempi di quanto il problema climatico sia complesso e difficilmente prevedibile in tutti i suoi effetti collaterali.

Considerate questo esempio:

in una regione del Montana (USA) si decide di mettere in atto un disboscamento controllato al fine di dare nuove possibilità alla sofferente industria del legname. L’operazione non è selvaggia, ma studiata prendendo come esempio le politiche dei paesi del nord Europa che da anni tagliano in un luogo, piantando poi alberi giovani e dando loro il tempo di ricrescere.

Sembra che tutto sia stato tenuto in dovuto conto, ma poi si verifica il seguente effetto collaterale: nei torrenti della zona, che fino a quel momento erano ricchi di pesce e attiravano molti turisti, non si pesca più. C’è pochissimo pesce.

Uno studio permette di appurare la causa. In seguito al taglio degli alberi, nella parte più a monte dei torrenti la temperatura dell’acqua è salita di 1/2 gradi. Il fatto è che la foresta teneva le acque costantemente all’ombra, mentre ora sono sempre al sole. Di conseguenza la loro temperatura media è salita. È bastato questo perché molte delle uova dei pesci, che ormai si erano adattati a quell’ambiente da centinaia (forse migliaia) di anni, non riuscissero più a schiudersi abbassando drasticamente il tasso di pescosità.

Risultato: l’aumento di produttività nel campo del legname è stato annullato dalle perdite turistiche e il livello di occupazione è salito da un lato, ma è crollato dall’altro. Tutta l’operazione ha avuto l’effetto di trasferire il problema occupazionale da un settore a un altro.

Nonostante la faccenda non sia stata affrontata con superficialità, l’analisi si è concentrata sul problema centrale (il disboscamento e i suoi effetti immediati) e si è rivelata incapace di prevedere tutti gli effetti collaterali, almeno uno dei quali è risultato molto dannoso.

Questo esempio mi torna alla mente tutte le volte in cui sento disquisizioni sul clima e sulle politiche ambientali e energetiche che adottano un ragionamento lineare, mentre la realtà si rivela quasi sempre più contorta di quello che riusciamo a prevedere. Cfr. la citazione di Stephen Hawking sulla fisica quantistica che mi sembra valida a anche a scala macroscopica: “Dio, non solo gioca a dadi, ma li butta anche in posti in cui sono difficili da vedere”.

Desert Plants

Desert Plants

About 30 years ago I had a book by Walter Zimmermann called Desert Plants. It was a book of conversations with 23 american composers. A self made book whose pages seem to be the xerox-copy of the sheets the author typed on his typewriter while listening to a tape recorder.

I loved this book because, beyond the interesting conversations, it taught the way of subsistence.

How to SUBSIST during a time where practically no attention is paid to individuals if they are not useful for any commercial tools. And what puts these Individuals into a situation where they are challenged to think about the nature of their integrity, and that because of their integrity become alienated. From there they are getting to understand the necessity to do everything to reduce alienation.

Like a desert plant.

Over the years, Desert Plants get lost in the normal life affairs (loans, moves and so on), but now that it is out of print, it respawn as a free book. If you don’t know Desert Plants, you should. Click here and scroll a little.

The Whole Earth Catalog

Fra il 1968 e il 1972, Stewart Brand pubblicava, su carta, The Whole Earth Catalog che era definito come

“a paper-based database offering thousands of hacks, tips, tools, suggestions, and possibilities for optimizing your life.”

Si trattava di una specie di Wikipedia ante litteram. Una raccolta di articoli sugli argomenti più disparati, spesso scritti da personalità dell’epoca: da William Burroughs al Black Panthers Party, dal poeta Ferlinghetti all’architetto Buckminster Fuller.

Oggi The Whole Earth Catalog è online. Si può consultare online l’edizione digitale degli articoli o scaricarli a pagamento, oppure ancora vedere la vecchia pubblicazione che è molto bella e ricca di immagini.

whole earth catalog

Il canto degli antenati

Qualche report sui libri letti durante l’estate. Inizio con il bellissimo “Il canto degli antenati” di Steven Mithen (Tit. orig. The singing neanderthal, 2005). Sottotitolo: Le origini della musica, del linguaggio, della mente e del corpo.

Mithen, archeologo britannico, parte da un assunto: la propensione a fare musica è uno dei più misteriosi, affascinanti e allo stesso tempo trascurati tratti distintivi del genere umano. La letteratura scientifica ha sottovalutato questo campo di studio, definendo la musica come una tecnologia, un prodotto, creato unicamente a scopo ludico e ricreativo, e non come un adattamento selettivo. Diversamente, Mithen sostiene che lo studio dell’origine del linguaggio, e più in generale dell’abilità comunicativa dei nostri antenati, dovrebbe essere rivalutato alla luce dell’aspetto musicale, che a sua volta non può prescindere dall’evoluzione del corpo e della mente.

Si tratta di un’idea che per molti musicisti è intuitivamente vera, ma che finora non era stata sostenuta dalla letteratura scientifica e dalla ricerca. Ma l’ipotesi di Mithen va più in là. Citando la recensione di Giuseppe Mirabella su Le Scienze (Apr. 2007):

La musica è un elemento proprio di tutte le culture umane. Strumenti musicali, canti e danze rituali fanno parte di tutte le società, da quelle moderne alle più primitive. E l’enorme diffusione delle abilità musicali ha fatto ipotizzare che questa capacità avesse un ruolo evolutivo. Ma quale può essere stato il vantaggio selettivo offerto dalla musica ai nostri antenati? Steven Mithen, archeologo cognitivo dell’Università di Reading, prova a formulare una teoria molto accattivante, secondo la quale i primi ominidi comunicavano attraverso un linguaggio musicale, un miscuglio tra il linguaggio e la musica come li intendiamo noi oggi. Secondo Mithen, questa forma di comunicazione avrebbe toccato l’apice nei neandertaliani. Che avevano una configurazione delle alte vie respiratorie che avrebbe consentito loro di parlare, ma non disponevano dei circuiti nervosi deputati al controllo del linguaggio. Le difficili condizioni ambientali in cui vivevano e la crescente complessità dei loro gruppi sociali richiedevano uno scambio continuo di informazioni, e quindi si sviluppò un sistema di comunicazione articolato che includeva sia suoni sia gesti del corpo.

Per definire il sistema di comunicazione dell’uomo di Neanderthal, Mithen ha coniato l’acronimo “Hmmmm”, per olistico (holistic), multi-modale, manipolativo and musicale (invidio molto la facilità dell’inglese nella creazione di acronimi):

“Its essence would have been a large number of holistic utterances, each functioning as a complete message in itself rather than as words that could be combined to generate new meanings.”

Probabilmente anche i primissimi Homo sapiens comunicavano in questo modo, ma lo sviluppo del cervello consentì loro di evolvere un vero e proprio linguaggio dotato di una grammatica, cioè di un sistema per combinare i simboli base a formare nuovi significati. L’ipotesi di Mithen è necessariamente di natura speculativa, ma le prove indirette che porta a suo sostegno sono numerose e convincenti.

NB: il libro è effettivamente affascinante, ma non facilissimo. È un trattato scientifico che deve prendere in considerazione, riferire e valutare le ricerche e gli esperimenti condotti finora. Di conseguenza, a tratto, non è discorsivo e scorrevole. Vivamente consigliato a coloro che nutrono un interesse particolare per questo argomento.

Inherent Vice

Il nuovo libro di Thomas Pynchon, Inherent Vice, è uscito qualche giorno fa (il 4) negli USA.

Mi ha sorpreso il fatto che esiste il trailer, ed è pure bello. E mi chiedo se la voce narrante possa essere proprio la sua. Di questo scrittore, ormai di culto, che è un fantasma perché non si fa mai vedere (è letteralmente svanito fin dagli anni ’60).

Pynchon non ama rivelarsi al pubblico se non attraverso le sue opere, tanto che anche in wikipedia c’è solo una sua foto da giovane e se lo cercate in Google image, trovate sempre quelle 3/4 immagini da ragazzino.

Diritti digitali?

coverVenerdì 17 Luglio
Giorno sfortunato di nome e di fatto per centinaia di possessori di Amazon Kindle, il lettore di e-book di Amazon, che scoprono che due libri di George Orwell regolarmente acquistati e pagati, uno dei quali, ironicamente, è 1984, sono scomparsi dal loro lettore, lasciando al loro posto solo una lettera di scuse e un buono di acquisto pari al valore pagato.

Cos’è successo? Una semplice disputa legale con i possessori dei diritti ha fatto sì che Amazon decidesse di interrompere la vendita dell’edizione elettronica e di conseguenza, cancellasse da remoto tutte le copie già vendute e conservate sul lettore dei clienti, sostituendole con un buono acquisto di pari valore.

In pratica, è come se gli agenti di una libreria penetrassero nottetempo nelle case dei clienti per ritirare le copie di alcuni libri appena venduti, lasciando al loro posto un buono.

Ma può? Certo. Il DRM consente questo ed altro. La cosa “divertente” è che ai clienti di Amazon ed altri sistemi di e-book del genere è stato raccontato che i libri in forma digitale sono come quelli stampati, anzi migliori.
Poi, però, l’utente ha scoperto che, una volta letti, non li può né vendere né prestare perché girano solo sul suo lettore. Adesso scopre anche che, se il venditore ci ripensa, possono anche sparire.

Morale? Non comprate niente in forma digitale prima di essere sicuri che sia privo di lucchetti e che possa essere spostato su qualsiasi macchina.

Qui la notizia sul New York Times

I confini dell’evoluzione

coverNella calde sere d’estate si rilegge e questa è una rilettura di un romanzo di grande suggestione. Ian McDonald, I confini dell’evoluzione, collana Solaria, Fanucci editore, 2003 (orig. Evolution’s Shore, 1995), 458 pagg., € 16.

Un meteorite composto di materiale biologico piomba nel cuore dell’Africa. È il Chaga, che tutto ingloba senza distruggere nulla. Il Chaga deforma il nostro ambiente e lo rimodella secondo una propria biologia compatibile con la nostra, ma nuova e sconosciuta. Provoca repulsione in alcuni e affascina altri.

Non è qualcosa che distrugge, ma qualcosa che cambia profondamente l’ambiente. E si espande gradualmente. Una zona di alienazione che per alcuni equivale ad un nuovo Eden. A un rapporto molto più diretto fra l’uomo e la natura “Al di là del denaro, dell’energia, delle telecomunicazioni, delle ricevute delle tasse, al di là delle ipoteche, dei prestiti bancari, delle pensioni e delle assicurazioni.”

Un cuore di tenebra in cui si può vivere e a cui si può sopravvivere. Qualcuno va e resta, ma qualcun’altro va torna dal Chaga, ma ne esce anche visibilmente cambiato.

Il Chaga mantiene e nutre ciò che ne fa parte, imparando da ciò che ingloba e sintetizzando nuovi micro ambienti per permettere a tutte le entità biologiche di sopravvivere, sia pure diverse, cambiate, in una simbiosi che comporta anche una nuova organizzazione sociale: “l’abbondanza del Chaga era la negazione del consumo capitalista…”

L’altra faccia della realtà

millemondi_48È il titolo dell’Urania che sto leggendo (Millemondi num. 48, estate 2009, titolo originale Year’s Best SF #11).

31 racconti brevi (a volte molto brevi) e una introduzione, per 475 pagine, il che dà una media di 14.84375 pagine per racconto. Ma la varianza è elevata: ci sono racconti di 2.5 pagine; solo alcuni arrivano a 20; soltanto uno arriva a 50. Prezzo ragionevole: €5.50. L’ideale per la spiaggia, oppure per chi, come il sottoscritto, viaggia in treno tenendo corsi estivi di informatica musicale.

Il panorama degli autori è notevole, anche se, con la solita infamia tipica di Mondadori, il sottotitolo meriterebbe una condanna per pubblicità ingannevole. Infatti recita: “i migliori racconti dell’anno”, facendo pensare, ovviamente, all’anno scorso, mentre, né in copertina né in quarta si accenna al fatto che l’anno è il 2005. Te ne accorgi solo attaccando l’introduzione che, peraltro, è quella originale dei curatori David G. Hartwell e Kathryn Cramer.

Al di là di questa “piccola idiozia”, che comunque testimonia uno scarso rispetto per il lettore, i racconti sono piuttosto belli, stimolanti e rappresentativi delle tendenze recenti della SF.

Sono molti anni, ormai, che la fantascienza non è più una rivisitazione della vecchia contrapposizione cowboy contro indiani, ma negli ultimi tempi le sue ramificazioni si sono moltiplicate e allargate a dismisura. Se da Dick in poi, SF è anche un presente alternativo, da Gibson in poi, SF è anche un presente tout court, una possibile piega di un domani molto vicino.

Così i racconti di questa raccolta vanno dalle utopie possibili, agli effetti delle droghe sintetiche fino ai problemi della comunicazione aliena e alle tematiche più classiche della fantascienza di avventura e di esplorazione. D’altra parte, il racconto è sempre stato la spina dorsale della SF ed è così anche oggi grazie alle riviste online.

Fra i nomi spiccano Bruce Sterling, Greg Bear, Gregory Benford, Peter F. Hamilton, Vonda N. McIntyre, Rudy Rucker, Ted Chiang, Stephen Baxter, Joe Haldeman e altri, meno affermati, ma spesso sorprendenti.

A tutti gli autori è dedicata una pagina di presentazione completa di indicazione del loro sito.