Koto

Kazue Sawai esegue un brano al koto.
Questo strumento è un cordofono appartenente alla famiglia della cetra introdotto dalla Cina in Giappone durante il periodo Nara (710 – 794 d.C.).
All’inizio il koto venne usato per lungo tempo solamente presso la corte imperiale. Questo stato di cose cambiò nel XVII secolo soprattutto ad opera di Yatsuhashi Kengyô (1614-1684) che sì applicò a rendere il koto maggiormente accessibile presso la popolazione. Ideò una nuova accordatura, detta hirajoshi, che divenne una delle più utilizzate e creò composizioni divenute dei classici della letteratura per questo strumento come Rokudan e Midare, che è il brano che ascoltiamo qui.
Si tratta quindi di un esempio di musica classica giapponese del ‘600.
È interessante osservare come la musica classica giapponese sia altamente formalizzata. Questo brano, per esempio, appartiene alla categoria dei danmono che è una forma classica di brani per koto solamente strumentali, composti da diverse sezioni chiamate dan [lett. “gradino, ripiano, livello”]. Nella forma più tradizionale di danmono, ogni dan è formato da 104 haku [pulsazione, battito, unità fondamentale di misura del tempo] e costituisce una variazione su un unico tema.
Questo brano, però, fa eccezione perché i vari dan non sono formati dallo stesso numero di beat e proprio per questo si intitola Midare [乱 lett. “confusione, caos”].
Ricordate, inoltre, che l’accordatura giapponese non è esattamente temperata.

Per quanto riguarda il koto, il corpo dello strumento è costituito da una cassa armonica, lunga circa due metri e larga tra i 24 ed i 25 cm, costruita, in genere, con legname di Paulownia (Paulownia Tomentosa o kiri, in giapponese). Su di essa corrono tredici corde di uguale diametro ed aventi stessa tensione, ognuna delle quali poggia su di un ponticello mobile (ji, 柱).
Questo fatto va sottolineato perché è un sistema completamente diverso da quello occidentale in cui si usano corde di vario diametro e tensione.
Qui le corde sono tutte uguali e tirate alla stessa tensione. Per ottenere note diverse, quindi, l’unico sistema è variare la lunghezza della corda. Infatti ognuna di esse ha il proprio ponte che viene piazzato in punti diversi.
Le corde, poi, sono pizzicate con la destra, mentre la sinistra non suona, ma crea abbellimenti sotto forma di vibrati e di veloci glissati, sia nell’attacco che in coda al suono, ottenuti premendo la parte della corda che sta oltre il ponte. Naturalmente il fatto che tutte le corde abbiano la stessa tensione facilita questo compito perché così una data pressione genera un glissato della medesima estensione su ogni corda, cosa che non avverrebbe se la tensione fosse diversa.
L’esecutore si pone in ginocchio o seduto di fronte allo strumento e pizzica le corde tramite l’ausilio di tre plettri (tsume) fissati al pollice, all’indice ed al medio della mano destra.
Lo spartito per koto si presenta generalmente sotto forma di intavolatura che si legge dall’alto in basso e da destra verso sinistra (il senso di lettura normale anche nel giappone moderno: i libri sono impaginati così, sebbene ormai sia diffusa anche la scrittura orizzontale).
Il koto viene paragonato al corpo di un drago cinese disteso. Per tale motivo, le diverse parti di cui esso è formato assumono dei nomi che ricordano quelle del mitico animale, come ad esempio:

  • Ryuko (schiena del drago): è la parte superiore della cassa armonica,
  • Ryuto e ryubi (testa e coda del drago): sono le estremità dello strumento.

Kazue Sawai è considerata uno dei massimi virtuosi viventi di questo strumento.

Sawako

tiny tiny press image
Sawako is a sound sculptor and timeline-based artist who understands the value of dynamics and the power of silence. Beginning in video art, Sawako shifted her focus from the video camera to sound. Once through the processor named Sawako, fragments in everyday life – field recordings, instruments, voice and electronic sounds – float in space vividly with a digital yet organic texture. Her unique sonic world has been called “post romantic sound” by Boston’s Weekly Dig.

Opere buone

ANSA – Tokyo, 14/07/2007

Un misterioso personaggio da circa un mese sperpera il suo patrimonio riempiendo di banconote i bagni pubblici in Giappone. Il denaro finora ritrovato dagli avventori nelle toilette pubbliche e’ di decine di migliaia di euro. Il ‘cerimoniale’ osservato dall’uomo misterioso e’ sempre lo stesso: una banconota da 10.000 yen (60 euro) e’ chiusa in una busta accompagnata dalla scritta ‘opere buone’. All’interno oltre al denaro c’e’ un messaggio che esorta a compiere buone azioni.

L’isola di Hashima

 

Hashima (Gunkanjima) | Travel Japan - Japan National Tourism Organization  (Official Site)

L’isola di Hashima (端島 trad. qualcosa come isola di confine o isola del bordo), chiamata anche Gunkanjima (軍艦島 trad. isola nave da guerra, per le coste cementate e la forma), è una delle 500+ isolette disabitate nei pressi di Nagasaki, nella parte sud.ovest del Giappone.
Il fatto è che, invece, fino al 1974, era uno dei luoghi a più alta densità abitativa del globo. L’isola fu acquistata dalla Mitsubishi nel 1890, con l’idea di scavarvi una miniera di carbone.
Nel 1916 vennero costruiti gli alloggi per i lavoratori e la miniera venne sfruttata fino al 1974. Nel 1959 la popolazione raggiunse i 5000 abitanti circa, cioè 835 abitanti per ettaro, che equivalgono alla pazzesca densità di 83500 ab. per Km2 (1 ettaro = 0.01 Km2; per confronto, la regione italiana con la densità maggiore è la Campania: 421 ab./Km2).
Il verde era quasi completamente scomparso dall’isola, tanto che qui venne girato il film Midori Naki Shima (The Greenless Island, 1949). Un altro famoso (in Giappone) film ambientato in Gunkanjima è il recente seguito di Battle Royale: Battle Royale II, The Requiem (2003).
Negli anni ’60, poi, iniziò il declino del carbone e l’isola venne gradualmente abbandonata, fino alla sua chiusura definitiva nel 1974 (chiusura anche a qualsiasi tipo di visita perché pericolosa: io l’ho visitata a suo tempo approfittando del caos creato da una manifestazione di Greenpeace).
Stranamente, non è stata fatta nessuna riconversione. Gli edifici sono stati abbandonati all’usura del tempo e sono ormai dei ruderi spettrali che stanno assumendo un valore di archeologia industriale al punto che il governo pensa di riaprirla (una decisione era attesa per Aprile, ma non ne so niente).
Trovate delle belle foto qui

Yuki

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Takemitsu’s recent works have been marked by the use of traditional Japanese instruments as in the case of Eclypse for the Shakuhachi and Koto, or the music in the film, Kwaidan (Ghost Stories), which includes extremely original concepts. Here again, the motive of composition seems to seek through these instruments special effects which otherwise could not be obtained. And it is true that he has until now been so successful that one could not expect more. It seems as if it were aimed at producing an interminable dynamic drama from the succession of the momentary sounds from the hand and the mouth of the musician. This is the quality very akin to that which realizes infinite freedom at the very moment of heightened tension as in the case of Japanese calligraphy and the tea ceremony.

Asterism

Born in Tokyo, Takemitsu first became interested in western classical music around the time of World War II. He heard western music on American military radio while recuperating from a long illness. He also listened to jazz from his father’s ample collection.
Takemitsu was largely self-taught in music. He was greatly influenced by French music, and in particular that of Claude Debussy and Olivier Messiaen. In 1951 he founded the Jikken Kobo, a group which introduced many contemporary western composers to Japanese audiences.
Takemitsu at first had little interest in traditional Japanese music, but later incorporated Japanese instruments such as the shakuhachi (a kind of bamboo flute) into the orchestra. November Steps (1967), a work for shakuhachi and biwa (a kind of Japanese lute) solo and orchestra was the first piece to combine instruments from east and west. In an Autumn Garden (1973-79) is written for the kind of orchestra that would have played gagaku (traditional Japanese court music). Works such as Eclipse, (1966) for shakuhachi and biwa, Voyage (1973), for three biwas should also been mentioned as works that are decidedly derived from traditional genres.
Takemitsu first came to wide attention when his Requiem for string orchestra (1957) was accidentally heard and praised by Igor Stravinsky in 1959. (Some Japanese people wanted Igor Stravinsky to hear some tape recorded music by Japanese composers and put in the wrong side of the tape; when they tried to take it out, Stravinsky didn’t let them.) Stravinsky went on to champion Takemitsu’s work.
During his career, Takemitsu composed music for motion pictures, including scores for directors Hiroshi Teshigahara, Akira Kurosawa, Masaki Kobayashi, and Shohei Imamura.
Takemitsu died in Tokyo on February 20, 1996

Commissioned in 1968 by RCA Records, this work is for piano and orchestra with an expanded percussion section with unusual methods of articulation: the spine of a comb is run across a suspended cymbal, a double-bass bow used on three suspended cymbals, and so on. All three definitions of the title constitute the poetic meaning of this music – a group of stars, a constellation; crystallized minerals showing a starlike luminous figure in transmitted or reflected light; and the three asterisks placed before a passage to direct attention to it. The music is characterised by lovely crystalline textures from glockenspiel, harp, metallic percussion and the piano. Impressionistic chords from the high strings, and Messiaen-like brass chords provide celestial imagery. Sliding tones from plucked strings and lower brass suggest more earthiness. A brief solo statement from the piano is followed by breaking sounds (light bells, ratchets, rattles) from the percussion suggest the punctuation nature of the title. Toward the end, the music enters a quasi-random chaotic crescendo of uncoordinated cycling motifs and sizzling cymbals and gongs. Suddenly, the sound is suspended and a quiet transparent texture emerges, then silence, and a single final note from the piano. A lovely, brief, poetic vision.

Download Takemitsu music from AvantGarde Project 24.

Toru Takemitsu – Asterism (1968), per piano e orchestra
Toronto Symphony Orchestra – Seiji Ozawa (conductor) – Yuji Takahashi (piano)

Koenji Hyakkei

Koenji Hyakkei’s music sometimes is a little like Magma, but I like it.

Secondo me il video c’entra come i cavoli a merenda, ma Koenji Hyakkei (高円寺百景) a volte, come in questo pezzo, mi piacciono parecchio.
Sono un po’ (tanto) Magma (chi si ricorda i francesi di Christian Vander?), ma la complessità, il superamento del solito schema ritornello-inciso e l’energia rendono questo brano superiore alla media.

Certo che la faccenda mi ricorda un po’ Shostakovich, quando diceva che la musica russa aveva un grande futuro dietro di sé…

Line-up
Yoshida Tatsuya – drums, vocals
Sakamoto Kengo – bass & voice
Kanazawa Miyako – keyboards & voice
Yamamoto Kyoko – vocals
Komori Keiko – reeds & voice