Rendezvous with Rama

In the 1970s, NASA’s Ames Research Center gathered artists and asked them to imagine how feasible space colonies, able to accommodate about 10,000 people, might look.

The results are here (here in high resolution) and this an example.

Please note that Rendezvous with Rama by Arthur Clarke was first published in 1972. 😎

Here there is a Java applet to interactively explore some aspects of living in a rotating environment, particularly jumping off high platforms and throwing balls.Wait the applet load and click jump (must have java enabled, of course)

Via Boing Boing

Musicofilia

Oliver Sacks, MusicofiliaIl libro di Oliver Sacks, Musicofilia (Adelphi Ed., 2008-2009), è una miniera di aneddoti e considerazioni sulle più disparate affezioni che coinvolgono la percezione e l’apprezzamento della musica.

Neurologo e psichiatra, ma anche membro onorario dell’Institute for Music and Neurologic Function, che ha contribuito a fondare, Sacks ha avuto fra i suoi pazienti parecchi musicisti e si è ritrovato a trattare molti casi di distorsione percettiva relativamente poco comuni e decisamente complessi, alcuni dei quali vengono descritti in questo libro.

Così, fra un caso di epilessia musicogena (crisi epilettiche indotte dalla musica che colpiscono un critico: giusta nemesi :mrgreen: ), uno di amusia cocleare (deviazione nella percezione dell’altezza dei suoni che affligge un compositore: idem) e il sorprendente capitolo dedicato a un medico che, dopo essere stato colpito da un fulmine, sviluppa un insaziabile desiderio di ascoltare musica per pianoforte, suonare e perfino comporre, si passano ore piacevoli a riflettere sulla complessità di quel sistema percettivo il cui funzionamento è in massima parte determinato dalla comunicazione bilaterale orecchie -> cervello che alla fine dà vita al fenomeno musicale.

Fenomeno, peraltro, ancora poco indagato e compreso, soprattutto se si confronta con quanto, invece, conosciamo della percezione visiva. Fenomeno che è stato sempre sottovalutato, a partire dallo stesso Darwin che ne era palesemente sconcertato, tanto da scrivere nell’Origine dell’uomo, che

Giacché né il piacere legato alla produzione di note musicali, né la capacità [di produrle] sono facoltà che abbiano il benché minimo utile diretto per l’uomo … devono essere collocate fra le più misteriose di cui egli è dotato.

È una vecchia storia questa dell’inutilità della musica d’ascolto, avvalorata dal fatto che presso molte tribù “primitive” che pure dedicano alla musica varie ore al giorno, il concetto di musica nemmeno esiste (se si chiede a uno di loro che cosa stia facendo, si ottiene una risposta tipo “batto il tamburo per propiziare la caccia”).
Una storia diffusa al punto da contagiare anche uno scrittore e scienziato come Arthur Clarke, visto che perfino gli alieni venuti a salvarci da noi stessi, i Superni de Le Guide del Tramonto, sono del tutto insensibili alla produzione di suoni svincolati da una funzione.
Una credenza che, fortunatamente, viene lentamente demolita da studi come quelli di Steven Mithen, il quale, nel suo Canto degli Antenati (The Singing Neanderthal, di cui abbiamo già parlato), ipotizza che la musica e il linguaggio abbiano un’origine comune e che una caratteristica della mente neandertaliana fosse proprio una combinazione di proto-musica e proto-linguaggio (Mithen chiama questa sorta di linguaggio cantato fatto di significati, ma senza singole parole così come noi le intendiamo, HMMMM che sta per holistic-mimetical-musical-multi-modal).

E tuttavia, se è difficile spiegarne l’origine, non c’è niente di strano al pensiero di produrre qualcosa per puro piacere estetico e/o intellettuale, attività che, peraltro, non è ad esclusivo appannaggio delle civiltà tecnologicamente avanzate. Spesso e giustamente si dice che l’arte si può fare solo quando i bisogni primari (principalmente l’assillo del cibo) sono soddisfatti, sottintendendo che soltanto una civiltà progredita possa permettersela.
Si dimentica, però, che molte delle società cosiddette primitive, se lasciate indisturbate, sono ben integrate nel proprio ambiente e tutt’altro che assillate da problemi vitali. Ricordo di aver letto uno studio dedicato agli aborigeni (di cui purtroppo ora non riesco a ritrovare gli estremi; non sono a casa e mi connetto con una miserabile chiavetta a tempo limitato), in cui si calcolava che ogni membro adulto del villaggio lavorasse (caccia, raccolta, preparazione del cibo, manutenzione varia, etc) fra le 12 e le 18 ore settimanali (l’orario di un insegnante). Il resto del tempo trascorre in attività di svago che comprendono anche il cantare insieme, che da loro è descritto come “raccontare storie” 😎 .

A beautiful sonic boom

In particular conditions the sound waves can become visible. This Atlas V launched from Kennedy Space Center at Feb. 11 2010, fly through a sun dog.

A sun dog is a prismatic bright spot in the sky caused by sun shining through ice crystals. The Atlas V rocket exceeded the speed of sound in this layer of ice crystals, making the shock wave visible from the ground.

In caduta libera

Nota: mi rendo conto che, in questi ultimi tempi, vi sto parlando un po’ poco di musica contemporanea e un po’ più di altre cose. Ciò è dovuto ad una certa noia che sto provando nell’ascoltare parecchie produzioni recenti. Passerà. Nel frattempo vi passo qualche consiglio che vi sarà di certo più utile, considerato che molti di voi stanno per salire su un aereo.


Free fallDunque, se a un certo punto vi svegliate, o meglio, riprendete conoscenza con addosso una gran nausea, il cuore che va a mille, un grande freddo, la sensazione di non riuscire a respirare e vi rendete conto che state cadendo, rallegratevi: significa che siete sopravvissuti all’esplosione del vostro aereo.
Probabilmente vi trovate alla quota di circa 9000 metri e state per svenire per mancanza di ossigeno. Vi riprenderete a circa 5/6000 metri, se siete fortunati anche più in alto, quando l’atmosfera sarà abbastanza ricca per mantenere un briciolo di coscienza e l’aria fredda vi risveglierà senza troppa grazia.

Qui comincia la fase finale. State cadendo e la vostra destinazione finale è il suolo. Se potete fare qualcosa per salvarvi, dovete farlo adesso. Non lasciatevi andare. Ci sono stati molti casi di cadute di questo tipo in cui il soggetto è sopravvissuto ed anche piuttosto bene.

Innanzitutto, una distinzione basilare:

  1. siete in caduta libera, solo;
  2. siete un wreckage rider, uno che cavalca rottami, ovvero mentre precipitate siete più o meno connesso a parti dell’aereo.

La situazione (b) è la più comune e di gran lunga la migliore. Se state cavalcando qualche rottame fate il possibile per non abbandonarlo. I rottami possono veleggiare nell’aria e offrire resistenza fino a ridurre la velocità a livelli accettabili. Inoltre offrono una certa protezione al momento dell’impatto.

Se invece vi trovate nella situazione (a), non disperate. Il tempo gioca a vostro favore. Pensate che cadere da un grattacielo è molto peggio: innanzitutto avete solo pochi secondi a disposizione e poi quasi certamente vi schianterete su qualcosa di duro.

Nel caso della caduta libera il vostro nemico è uno solo: l’accelerazione di gravità. 9.8 metri al secondo per secondo, ovvero la vostra velocità aumenta di 9.8 m/sec per ogni secondo di caduta. Se esistesse solo l’accelerazione di gravità, precipitando da 10000 m, arrivereste al suolo a più di 1500 km/h.
Fortunatamente avete due amici che sono in grado di limitare notevolmente la vostra velocità di caduta: la spinta di Archimede e l’attrito. La prima è la stessa che fa sì che le navi possano galleggiare nonostante il loro peso. Un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del fluido spostato. L’aria è come l’acqua, con l’unica differenza che il suo peso è decisamente inferiore, perciò anche la spinta verso l’alto che ricevete è minore e non vi permette di galleggiare facendo il morto.
Tuttavia, fare il morto è un ottimo sistema per spostare più aria e massimizzare la spinta di Archimede. Quindi assumete la posizione del paracadutista che veleggia nell’aria: braccia e gambe larghe e distese, testa alta e petto in fuori.
Così facendo, esponete la massima superficie e sfruttate a dovere anche l’attrito.

Queste due forze combinate costituiscono un freno molto potente, al punto che un corpo umano in caduta libera riesce a rallentare fino a circa 150 km/h (per avere un’idea della loro potenza, considerate che varie fonti indicano in circa 250 km/h la massima velocità che un corpo umano può raggiungere se fa il possibile per accelerare, cioè assume la posizione di massima aerodinamica). Sfruttate i vestiti: una giacca chiusa, ma larga, può creare un ottimo effetto tunnel aiutandovi a veleggiare e aggiunge una componente laterale alla vostra velocità, il che significa ridurre la componente verticale.

E qui arriviamo all’ultimo atto: il suolo. L’impatto con il terreno è rimandabile, ma inevitabile.

La consistenza del suolo è un fattore determinante. Il miglior terreno su cui atterrare è sicuramente la neve alta. Molte persone si sono salvate per questo, cadendo anche da altezze notevoli.
Al secondo posto sta il terreno paludoso e morbido. Nel 1995 una bambina colombiana di 9 anni è sopravvissuta a una caduta da 9000 metri atterrando in una palude.
Anche gli alberi sono buoni, a patto di non finire impalati. L’ambiente migliore è la giungla, soprattutto quella di tipo amazzonico, con alberi alti fino a 30 m e un fittissimo sottobosco, tale da costituire un ambiente a sé stante. Ma anche le foreste di conifere non sono male perché le punte sono cedevoli.
Infine l’acqua. Terreno ingannevolmente amico perché non comprimibile. Cadere di piatto sull’acqua, a questa velocità, è come cadere sul cemento, con l’unica differenza che l’oceano non restituirà i vostri frammenti. L’unico sistema è entrare in acqua dritti come una freccia, con i piedi in avanti (punte in su e talloni in giù), braccia distese in alto e mani unite, a proteggere la testa (non fate i tuffatori, è imperativo proteggere la testa).

Ricordate che, in caduta libera, voi siete il pilota e il vostro corpo è l’aereo. I dati riportati dai paracadutisti indicano che lo spostamento laterale che si può raggiungere senza tute apposite, è di circa 2/3 rispetto alla quota da cui si cade, quindi, cominciando a lavorare a circa 5000 m, potete spostarvi lateralmente per più di 2 km.

Dunque, per quanto possibile, scegliete il terreno. Alla partenza, siate consapevoli della rotta del vostro aereo e quando, alla fine, l’aereo rollerà dolcemente sulla pista della vostra destinazione, pensate che ormai i voli commerciali sono molto sicuri e raramente avrete l’opportunità di mettere in pratica questi consigli, ma meglio conoscerli che ignorarli. In fondo, attualmente, il numero di incidenti catastrofici annuali nel mondo, per l’aviazione  commerciale, è dell’ordine di 25, cui corrisponde all’incirca un migliaio di vittime.


Altre informazioni: The Free Fall Research Page

(or click the logo)

Southern lights from above

aurora from above

Una aurora boreale vista dall’alto, fotografata dalla ISS il 29 maggio scorso. Cliccare l’immagine per ingrandire.


Astronauts onboard the International Space Station found out on May 29th when they flew through a geomagnetic storm and witnessed this green ribbon snaking over the Indian Ocean.

Click the image to enlarge.

Laser 50th anniversary

May 16 1960: Theodore Maiman presented the first laser (Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation) to the world. 50 years later, lasers are used in everyday life in fiber-optic communications, CDs/DVDs players, laser printers, laser medical procedures, and many more applications.

But the laser has many fathers, as stated in this poetry from PhD Comics

ode to the laser

20 anni di Hubble

google celebrate HSTGoogle celebra i 20 anni del telescopio spaziale Hubble includendone l’immagine nel proprio logo arricchito dai link ad alcune fra le più belle immagini scattate dell’HST, visibili in Google Sky.

Lanciato il 24 Aprile 1990, l’Hubble Space Telescope, che deve il suo nome all’astronomo americano E. Hubble che scoprì l’espansione dell’universo, orbita a circa 600 km di altezza con un periodo orbitale di 96-97 minuti.

In questi 20 anni di esercizio, ci ha inviato migliaia di eccezionali immagini permettendoci di fare nuove scoperte inerenti la struttura dell’universo e la sua formazione, di guardare nel passato del cosmo osservando le più lontane galassie finora conosciute, di provare l’esistenza di pianeti extrasolari e verificare l’omogeneità dell’universo (il famoso Hubble Deep Field). Si stima che i dati ricavati dalla sua lavoro abbiano permesso una media di 14 nuovi articoli scientifici alla settimana.

Ma soprattutto ci ha mandato immagini di una bellezza sconvolgente, mostrandoci che l’universo può essere misterioso, affascinante e sconosciuto, ma soprattutto è bello.

L’HST continuerà ad funzionare almeno fino al 2019. Non prima del 2013 è previsto il lancio del nuovo James Webb Space Telescope che però opererà principalmente nell’infrarosso e quindi Hubble, che lavora anche nel campo della luce visibile e dell’ultravioletto, continuerà a farci sognare per molti anni ancora.

the chaotic activity atop a three-light-year-tall pillar of gas and dust that is being eaten away by the brilliant light from nearby bright stars - feb 1-2, 2010

Bloop

The Bloop is the name given to an ultra-low frequency and extremely powerful underwater sound detected by the U.S. National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) several times during the summer of 1997. The source of the sound remains unknown.

According to thw NOAA description

it rises rapidly in frequency over about one minute and was of sufficient amplitude to be heard on multiple sensors, at a range of over 5,000 km.

5000 km is a grrreeeat distance for a sound, event in the water that conduct the sounds better than air. While the audio profile of the bloop does resemble that of a living creature, the system identified it as unknown because it was far too loud for that to have been the case: it was several times louder than the loudest known biological sound.

By 2012, earlier speculation that the sound originated from a marine animal was replaced by NOAA’s description of the sound as being consistent with noises generated via non-tectonic cryoseisms originating from glacial movements such as ice calving, or through seabed gouging by ice.

The bloop sound it’s too low to be perceived by a human ear. If transposed up by a factor of 8 (3 octaves), it sounds like this.

Complessità climatiche (1)

Sto leggendo Collasso (here in english), un libro in cui Jared Diamond (quello di Armi, acciaio e malattie) si interroga sul come le società possano affrontare i periodi di crisi e scegliere se vivere o morire.

Ideale continuazione del precedente Armi, acciaio e malattie, dove erano indagate le cause che hanno portato determinate aree geografiche alla supremazia tecnologica, Collasso analizza invece i motivi che hanno portato, nel passato e nel presente, determinate civiltà a un crollo repentino, dove questo è definito come una diminuzione drastica (spesso tramite conflitti armati) e su una scala temporale ridotta della complessità politica, delle dimensioni della popolazione e della produzione culturale. Diamond si interroga quindi se sia possibile che anche alcune delle società contemporanee, se non l’intera civiltà industriale, stiano andando incontro a un crollo di questo genere, e se e come sia possibile evitarlo.

A lato di questi argomenti, peraltro molto interessanti, a una lettura un po’ attenta il libro offre vari esempi di quanto il problema climatico sia complesso e difficilmente prevedibile in tutti i suoi effetti collaterali.

Considerate questo esempio:

in una regione del Montana (USA) si decide di mettere in atto un disboscamento controllato al fine di dare nuove possibilità alla sofferente industria del legname. L’operazione non è selvaggia, ma studiata prendendo come esempio le politiche dei paesi del nord Europa che da anni tagliano in un luogo, piantando poi alberi giovani e dando loro il tempo di ricrescere.

Sembra che tutto sia stato tenuto in dovuto conto, ma poi si verifica il seguente effetto collaterale: nei torrenti della zona, che fino a quel momento erano ricchi di pesce e attiravano molti turisti, non si pesca più. C’è pochissimo pesce.

Uno studio permette di appurare la causa. In seguito al taglio degli alberi, nella parte più a monte dei torrenti la temperatura dell’acqua è salita di 1/2 gradi. Il fatto è che la foresta teneva le acque costantemente all’ombra, mentre ora sono sempre al sole. Di conseguenza la loro temperatura media è salita. È bastato questo perché molte delle uova dei pesci, che ormai si erano adattati a quell’ambiente da centinaia (forse migliaia) di anni, non riuscissero più a schiudersi abbassando drasticamente il tasso di pescosità.

Risultato: l’aumento di produttività nel campo del legname è stato annullato dalle perdite turistiche e il livello di occupazione è salito da un lato, ma è crollato dall’altro. Tutta l’operazione ha avuto l’effetto di trasferire il problema occupazionale da un settore a un altro.

Nonostante la faccenda non sia stata affrontata con superficialità, l’analisi si è concentrata sul problema centrale (il disboscamento e i suoi effetti immediati) e si è rivelata incapace di prevedere tutti gli effetti collaterali, almeno uno dei quali è risultato molto dannoso.

Questo esempio mi torna alla mente tutte le volte in cui sento disquisizioni sul clima e sulle politiche ambientali e energetiche che adottano un ragionamento lineare, mentre la realtà si rivela quasi sempre più contorta di quello che riusciamo a prevedere. Cfr. la citazione di Stephen Hawking sulla fisica quantistica che mi sembra valida a anche a scala macroscopica: “Dio, non solo gioca a dadi, ma li butta anche in posti in cui sono difficili da vedere”.

Electromagnetic sounds from planets

Another fascinating recording of space sounds captured by a NASA spacecraft.

This time it’s Jupiter sounds (electromagnetic “voices”) recorded by the Voyager. The complex interactions of charged electromagnetic particles from the solar wind , planetary magnetosphere etc. create vibration “soundscapes”.

Jupiter is mostly composed of hydrogen and helium. The entire planet is made of gas, with no solid surface under the atmosphere. The pressures and temperatures deep in Jupiter are so high that gases form a gradual transition into liquids which are gradually compressed into a metallic “plasma” in which the molecules have been stripped of their outer electrons. The winds of Jupiter are a thousand metres per second relative to the rotating interior. Jupiter’s magnetic field is four thousand times stronger than Earth’s, and is tipped by 11° degrees of axis spin. This causes the magnetic field to wobble, which has a profound effect on trapped electronically charged particles. This plasma of charged particles is accelerated beyond the magnetosphere of Jupiter to speeds of tens of thousands of kilometres per second. It is these magnetic particle vibrations which generate some of the sound you hear on this recording.

It’s interesting to compare this recording with some analog electronic music from the sixties (cfr. Screen (1968) by Jaap Vink) or some orchestral compositions by Gyorgy Ligeti (Lontano (1967) or Atmosphère).

In addition should be interesting to know if and how this recordings had been edited by the people of Brain/Mind Research that sell many NASA recordings.

Here are similar recordings from Uranus…

… and Neptune.