John Cage – In The Name of the Holocaust (1942), for prepared piano.
Like much of Cage’s early dance music (this to accompany a piece by Merce Cunningham), In the Name of the Holocaust was written for what Cage would later refer to as a ‘prepared piano’: a piano with screws, bolts, or other materials placed between certain strings to create a percussive effect.
The music features a number of new piano techniques, many of which Cage borrowed from his teacher Henry Cowell: notes held open for resonance, muted and plucked strings, and clusters played with the arm and flat of the hand. The title references World War II and comes from a pun on the Catholic liturgical phrase “In the Name of the Holy Ghost” found in James Joyce’s novel Finnegans Wake.
Shadowtime is an opera by Brian Ferneyhough dedicated to Walter Benjamin (first performance at the 2004 Munich Biennale).
Brian Ferneyhough’s vision of a philosopher – Walter Benjamin – in the Underworld…
Described as a “thought opera”, Brian Ferneyhough’s Shadowtime sets Charles Bernstein’s inventive and complex libretto based on the work, life and imagined death of philosopher and cultural critic Walter Benjamin: it includes a movement for a speaking pianist – Opus contra naturam, the opera’s fourth scene – a guitar concerto (Scene II) and ends in an ethereal haze of voices and electronics, Stelae for Failed Time.
A philosopher, a sociological and cultural critic, born to a wealthy Jewish family, Benjamin represented in his writings a unique, one might say mystical, synthesis of Marxism and Jewish mysticism. Bertolt Brecht, Georg Lukacs and Gershom Scholem were friends of his, representing these two strands. His most famous work is probably the essay “The Work of Art in the Age of Mechanical Reproduction,” and he was loosely affiliated with the Frankfurt School through Theodor Adorno. Benjamin was either killed or more likely committed suicide at the Spanish border while attempting to belatedly flee Nazi Germany.
Ferneyhough explains that he selected Benjamin for the subject of his first and only opera because he was neither hero, like Orpheus, nor anti-hero, like Wozzeck, but something more complex. Says Ferneyhough, “The image of a coherent whole is no longer accessible to us, because mediators and power itself have reduced it to tiny fragments.” Shadowtime is composed mainly of small fragments and short movements.
Hugues Dufourt – Saturne (1979), per 12 fiati, 6 percussioni, 2 chitarre elettriche, 2 organi elettrici e suoni elettronici.
Questo brano ha una storia particolare. Come racconta Dufourt
Ho creato, con Murail, una organologia elettronica, un insieme di strumenti. Data l’epoca [1979], abbiamo optato per le tecniche analogiche con qualche concezione modulare. Ma poi è stato sviluppato l’elaboratore come strumento compositivo e nel giro di 5 anni ha spazzato via tutto. Credevo di fare un’opera storica e invece mi sono completamente sbagliato.
Abbiamo fatto dei miracoli tecnici per ricostruirla. Se non altro per identificare il problema che era al tempo storico, tecnologico e di restauro. Non era possibile né digitalizzare integralmente i risultati sonori, né ricostruire gli strumenti dalla A alla Z. È solo grazie a dei suoni rielaborati 15 anni fa, quando ancora la memoria era fresca, che ci siamo salvati.
Saturne è l’immagine di una terra desolata, con sonorità fredde e lontane, ma affascinanti, che evolvono lentamente, come testimonia la durata (circa 43 minuti).
Ivor Darreg (vero nome Kenneth Vincent Gerard O’Hara; 1917 – 1994, contemporaneo di Harry Partch) è stato uno dei pionieri della musica microtonale, nonché inventore di appositi strumenti.
Ecco due dei suoi brani tratti dalla sua, a mia conoscenza, unica incisione: Detwelvulate!
Stockhausen è stato uno dei principali esponenti di quella scuola di Darmstadt che, nell’immediato dopoguerra, proponeva il serialismo integrale come tecnica organizzativa musicale storicamente necessaria. Nello stesso tempo, però. è stato uno dei primi a staccarsene, se non a livello programmatico, almeno come dato di fatto compositivo.
Per lui, il problema maggiore insito nel serialismo integrale e nel puntillismo è la staticità. È evidente, infatti, che la dispersione dei parametri attuata con questa tecnica implica l’assenza pressoché totale di evoluzione: se per ogni nota, durata e dinamica si deve seguire una serie che forza all’utilizzo di tutti i valori prima di una qualsiasi ripetizione, è evidente che il brano risultante difficilmente potrà avere una evoluzione interna, ma sarà solo la rappresentazione della sua organizzazione.
Questo fatto, in sé, non è necessariamente un male e non è nemmeno un effetto collaterale imprevisto. Il serialismo, infatti, nega l’evoluzione interna per contrapporsi all’estetica romantica e post-romantica in cui i brani hanno uno sviluppo drammatico, cioè cercano di far compiere all’ascoltatore un percorso emozionale, cosa che è considerata superata da Webern e dai suoi seguaci. Per questi ultimi, infatti, la musica deve rappresentare soltanto sé stessa e il proprio modello organizzativo. La cosa non è nuova: questa idea è comune anche a molta musica pre-romantica, basti pensare all’Arte della Fuga.
L’assenza di sviluppo, tuttavia, per Stockhausen è un problema e già nei suoi primi lavori escogita dei metodi spesso ingegnosi per aggirarlo, pur continuando a utilizzare la tecnica seriale. Per poterlo fare, deve agire su quei pochi parametri che non sono coinvolti nell’ossessione organizzativa integrale il più evidente dei quali è il registro in cui le note appaiono.
Per esempio, in Kreuzspiel, per oboe, clarinetto basso, pianoforte, 3 percussionisti (1951), lo sviluppo è confinato alla dimensione dell’ottava, ma esiste. All’inizio del brano (in realtà da batt. 14 in quanto il processo è preceduto da una breve introduzione), 6 note della serie appaiono nelle ottave superiori e le altre 6 in quelle inferiori; le ottave centrali sono vuote.
Nel corso delle prime 6 esposizioni della serie (corrispondenti alle prime 6 righe del quadrato di permutazione), molte note cambiano registro e si infiltrano nelle ottave centrali, un processo che viene reso più evidente anche dall’aumentato uso dei legni rispetto al pianoforte (l’idea iniziale era di impiegare voci femminile e maschile), fino al punto in cui, alla fine della 6a riga del quadrato di permutazione, tutte le ottave sono riempite in modo uniforme.
Poi, con le 6 righe seguenti, le note si ritirano nuovamente verso i registri estremi, ma effettuando un incrocio tale per cui le note che all’inizio si trovavano nel registro acuto finiscono in quello grave e viceversa. Questo processo è evidente all’ascolto e, se si considera che dà anche il titolo al pezzo, si può immaginare quale sia la sua importanza per il compositore.
Il lettore interessato può cliccare sull’immagine a destra ed esaminare lo schema dell’intero processo.
Bun No. 1 (trad. focaccina, ciambella, panino) è un brano del 1965, composto da Cornelius Cardew durante i suoi studi con Goffredo Petrassi come esercizio finale per il corso di perfezionamento in composizione.
Si tratta, per quanto ne so, di un lavoro seriale per orchestra senza percussioni. Un brano affascinante, molto timbrico, che rivela un aspetto di Cardew quasi sconosciuto anche perché questo pezzo non era stato praticamente mai eseguito fino alla prima londinese curata dalla Scottish Symphony Orchestra diretta da Ilan Volkov per la BBC il 20 Agosto di quest’anno.
Ma perché Bun? in Contact no.26 (Spring 1983), John Tilbury ha spiegato
[Cardew} gave me two off-the-cuff reasons when I asked him: a bun is what you give to an elephant at the zoo, and that was how he felt when he gave the work to an orchestra to play; and the piece is like a bun – filling but not substantial!
Non badate all’immagine che con questo brano non c’entra assolutamente nulla.
Crippled Symmetry, del 1983, è uno dei lavori di lunghezza epica tipici dell’ultimo Feldman. Circa 90 minuti; niente in confronto alle 5/6 ore del Secondo Quartetto, composto nello stesso anno.
Ciò nonostante, per la sua durata e per i limitati elementi musicali di cui fa uso, questo brano richiede un ascolto di tipo ben diverso da quello della musica da camera tradizionale o anche contemporanea.
L’aggettivo crippled significa “menomato, storpio”, ma anche “paralizzato, bloccato, danneggiato”. Ed è in questo senso che vanno cercate le simmetrie all’interno del brano. I tre esecutori, uno al flauto e flauto basso, uno a glockenspiel e vibrafono, il terzo al pianoforte e alla celesta, suonano brevi frammenti ripetuti che variano gradualmente nel tempo dando vita a schemi ritmici complessi in cui la coordinazione fra gli esecutori si palesa per un istante, per poi scomparire e dar vita ad un nuovo schema.
Tuttavia non si tratta di minimal music. Il lavoro di Feldman è lontano dagli stilemi di Reich, Glass e compagni, così come da quelli di Arvo Pärt o Giya Kancheli. In uno scritto del 1981, Feldman affermava che
Music can achieve aspects of immobility, or the illusion of it.
e poi
The degrees of stasis, found in a Rothko or a Guston, were perhaps the most significant elements that I brought to my music from painting.
Molti critici avvicinano il processo evolutivo di questi ultimi brani di Feldman a quello, lentissimo e invisibile, ma inesorabile, dei ghiacciai o delle entità geologiche. Personalmente, visto che in questi giorni mi trovo in luogo isolato circondato dalla natura (mi collego saltuariamente con un misero gsm), tendo a paragonarlo alla lenta mutazione invernale delle piante a confronto della quale sembra perfino veloce.