Dall’Internet Archive vi segnalo l’Other Minds Archive che contiene materiale storico e contemporaneo, registrato in più di 50 anni di attività e accomunato dall’etichetta di avanguardia.
Da questa collezione vi faccio ascoltare Touch di Morton Subotnick. Composto nel 1969 per il Buchla Electronic Music System, quadrifonico in originale, questo brano si distingue per la qualità audio, notevole per l’epoca e riascoltandolo a tanti anni di distanza, non sembra così invecchiato come molte produzioni di 40 anni fa.
Other Minds Archive is a unique new music resource providing access to historical and contemporary material recorded over a fifty year-plus span. This collection is a not-for-profit service presented by Other Minds, Inc. of San Francisco.
Chaya Czernowin è una compositrice israeliana nata nel 1957. Vive in Austria.
Vi faccio ascoltare Ina, un buon brano con sonorità particolari, per flauto basso e 6 altri flauti (basso e ottavino) preregistrati.
Ulteriori informazioni su di lei si trovano nella sua pagina.
Chaya Czernowin – Ina, per flauto basso e 6 flauti preregistrati
Pacific Fanfare was composed to mark the 25th anniversary of both the Vancouver New Music Society and the World Soundscape Project at Simon Fraser University. It is comprised of ten soundmarks recorded by the WSP in the Vancouver area either from the early 1970’s or more recently, and thus reflects the changing soundscape of the city. The various sound signals are heard both in their original state, and digitally resonated and time-stretched in order to let them “resonate” in our own memories.
Pacific Fanfare is part of the Islands CD that can be ordered on the author’s site
Luigi Nono: A Pierre. Dell’Azzurro silenzio, inquietum (1985)
a più cori, per Flauto contrabbasso in Sol, Clarinetto contrabbasso in Si bemolle e live electronics(1985)
Possibilmente ascoltatelo con qualcosa di meglio delle cassettine da computer.
Dedicato a Pierre Boulez per i suoi 60 anni (compiuti il 26 marzo 1985), A Pierre. Dell’azzurro silenzio, inquietum fu eseguito per la prima volta il 31 marzo 1985 a Baden-Baden, con Roberto Fabbriciani, Ciro Scarponi e la realizzazione live electronics dell’Experimentalstudio di Friburgo. La partitura porta la data 20 febbraio 1985.
La collaborazione con Fabbriciani (flauto) e Scarponi (clarinetto) e l’indagine sui loro strumenti ha un posto di grande rilievo nella ricerca dell’ultimo decennio di Nono, nello scavo nella vita interiore del suono compiuto con l’aiuto dell’elettronica dal vivo e di alcuni interpreti congeniali. La ricchezza di armonici del flauto contrabbasso è uno degli aspetti indagati nel pezzo, dove l’apporto degli strumentisti dal vivo e quello del live electronics è difficilmente distinguibile, perché si persegue una compiuta integrazione, una fusione tra suoni dal vivo e suoni elaborati elettronicamente: insieme formano una fascia sonora ininterrotta caratterizzata da un continuo fluttuare, da una mobilità interna delicatissima e incessante, composta nello spazio e per lo spazio, alle soglie tra il suono e l’ “azzurro silenzio”.
Mobilità e spazialità sono aspetti decisivi e spiegano perché Nono può usare a proposito di un pezzo per due strumenti l’espressione ‹‹a più cori››, riprendendo la terminologia veneziana del secolo dei Gabrieli, da lui usata in molte altre occasioni (ad esempio chiamò “cori” i sette gruppi strumentali di No hay camino, hay que caminar…Andrej Tarkovskij).
Scrisse nel breve testo di presentazione:
Più cori continuamente cangianti per formanti di voci-timbri-spazi interdinamizzati e alcune possibilità di trasformazione del live electronics ‹‹Più cori continuamente cangianti››: di questo appunto si tratta. Nella parte dei due solisti, con dinamiche quasi sempre comprese tra “piano” (p) e “pianissimo” (ppppp), con rare incursioni fino al “mezzo forte”, è richiesta una continua varietà di modi di emissione, dal suono in emissione ordinaria a quello in cui prevale il rumore d’aria, con presenza variabile o assenza di altezze determinate, dai sovracuti suoni “eolien”, ai suoni con fischio, ai cluster, ai bicordi di armonici, dove talvolta dovrebbe apparire, come intermittente, discontinuo “suono ombra”, il suono fondamentale dei bicordi.
L’elettronica, determinante per l’articolazione nello spazio, aiuta a rendere percepibili i suoni degli strumenti, di incorporea levità, li trasforma e se ne appropria attraverso il “delay”, facendo in modo che con breve “ritardo” il suono registrato entri a far parte del suono complessivo. Con il delay il suono dello strumento si ascolta anche quando il solista tace, e anche in questa continuità si riconosce un aspetto della fusione tra strumenti ed elettronica che è determinante nel pezzo.
[Paolo Petazzi in cematitalia]
Nota mia:
Il ritardo di cui sopra non è propriamente breve, musicalmente parlando. Si tratta di vari secondi ed è un loop a guadagno piuttosto alto. In questo modo si crea il continuum sonoro.
Queste bellissime immagini (clicca per ingrandire) si riferiscono a un sintetizzatore modulare + sequencer & switchboard in perfetto stile steampunk. A quanto ho capito, questo oggetto è stato costruito da tale Christian Günther per Moritz Wolpert, già noto per il suo Heckeshorn, uno strumento a corde pizzicate o percosse, di foggia altrettanto steampunk, di cui potete vedere alcuni video qui sotto.
Si tratta, in pratica, di una slide guitar arricchita da un capotasto mobile al posto del tubo infilato nel dito. La musica è banalmente tonale, ma è talmente minimale e priva di fronzoli da risultare piacevole.
“Written in 2003, On a Windy Day was inspired by wind chimes in Buddhist temples set deep in the mountains of Korea, where I used to visit as a child. I vaguely remember one afternoon hearing the chimes start to ring so softly and randomly that at first I didn’t even notice them. Then the wind got gustier and gustier, and the chimes got louder and faster along with the sound of leaves on the trees surrounding the temple, eventually creating this mass of loud, intense, intricate sound. Then, as soon as the wind calmed down, everything went back to its serene surroundings, yet left me with all those tingling sounds lasting in my ears.
“To emulate this experience, I wrote a descriptive score for metallic percussion and had it performed live a few times by various players; the end result was never satisfactory. However, as soon as I heard John Hollenbeck’s incredible interpretation of this score in a studio, I was more than ecstatic. An idea came to me to add Ikue Mori’s unique electronic sounds and bring even more depth and surrealism to the piece. The final recording is better than I’d ever imagined and feels just like revisiting that windy day from my long-gone childhood.”
[Okkyung Lee]
Okkyung Lee (b. 1975) is a composer and cellist whose music fuses her classical training with improvisation, jazz, traditional Korean music, and noise. Lee was born and raised in Daejon, Korea, and attended arts schools in Seoul. In 1993 she moved to Boston, Massachusetts, where she studied at Berklee College of Music and with Hankus Netsky at the New England Conservatory of Music. Since relocating to New York City in 2000, Lee has been very active in the downtown music scene, performing and recording with artists such as Derek Bailey, Nels Cline, Anthony Coleman, Shelley Hirsch, Eyvind Kang, Christian Marclay, Thurston Moore, Ikue Mori, Jim O’Rourke, Zeena Parkins, Marc Ribot, Elliott Sharp, and John Zorn, among others.
Chris Brown‘s (b. 1953) music stems from the intersection of many different musical traditions and styles, including classical music, traditional Indonesian, Indian, Afro-American, and Cuban musics, and contemporary American experimental music. He has worked extensively with electronics, from amplified acoustic devices and analog sound modification to custom-made interactive computer systems. Collaboration and improvisation have played a significant role in the development of his work.
This [Retroscan] is the final section of a larger solo work Retrospectacles, in which the whole range of sounds possible from the piano, including sounds made directly on the strings, the frame, as well as the keyboard, provide sources for live electronic transformation by an interactive computer program. The music is a narrative about memory: each sound evolving out of the last, each playback with constantly varying pitch/time of sounds that have recently passed.
[Chris Brown]
L’opera più rappresentativa di François Bayle (di cui abbiamo già parlato qui) messa in linea da Avant Garde Project. Ve la presentiamo qui in un’unica playlist della durata di circa 37′.
L’intera composizione può essere scaricata in formato flac da AGP sia in 16 che in 24 bit.
Lo schema del brano, tratto dalle note di programma, è il seguente:
Appel…
…aux lignes actives
The simplest concrete element, the line, thin and melodic arrives fastest at an abstraction of qualities. Active, passive, or intermediate, the true line is, according to Klee, the line subjected to a strong tension.
…aux notes repetées
Brief, equal, clear values scrabled by the patter of bells emitting call signals. Rigid, transposed, very tense repetition. Followed by a third, deep, abbreviated repetition. Transition, interrupted rubato.
…au jardin
A polyphony of space and colors. Contrast between very brief, delicate fragments–dry versus fluid – and ample quivering sheets having harmonic colors – static versus moving.
…figures doubles
Combination of symmetries. Two contrasting parts – like male and female – organized in series of paired cells. These are varied up to the eighth repetition, where the first element is then brought to a completion. The mirror-repeats are enriched with successive transformations through added harmonics.
Then a new, very dynamic element appears – a man’s mask bringing tidings…
…grande polyphonie
A brief moment in the guise of a preface prepares the final “rappell”. Seven interconnected sections [a me sembrano 5, nota mia; le sezioni sono 7 in tutto] – though it is not immediately clear how they are related. Various sound signals are heard at frequent intervals, making it manifest that the role of the previous polyphonies was to lead up to the final combination. This makes it possible to listen in a musical way with a great deal of freedom, independence, superposing different voices. All the sound spaces used here resemble each other, from the more artificial and abstract ones to the totally concrete ones, which range from bird calls and songs to human calls and songs.
And finally, the initial call signal dissolves in a long breath,
Ritual Melodies è una composizione del 1990 di Jonathan Harvey realizzata all’IRCAM.
A dispetto delle sonorità, alcune delle quali a un primo ascolto possono sembrare strumentali, si tratta invece di pura computer music. Tutti i suoni sono generati e manipolati dal computer. Nessuno è stato campionato, se non per fini di analisi e risintesi.
Questo procedimento è stato attuato per creare un materiale sonoro in continua trasformazione. I suoni base del brano sono risintesi di strumenti di origine cerimoniale e/o rituale (es: oboe indiano, campane tibetane, flauto di bambù, frammenti vocali di diversa origine…) le cui caratteristiche vengono poi alterate in fase di sintesi per creare suoni intermedi.
A mio avviso è decisamente un bel brano, sia dal punto di vista compositivo che da quello tecnico. L’unico lato che per me è un po’ disturbante è costituito da alcune sonorità di tipica marca IRCAM, come quel maledetto scampanio sulle frequenze alte, che sarà anche bello a un primo ascolto, ma ormai si trova in quasi tutti i brani realizzati laggiù.